Costruire confini. Disegnare, cancellare, riprovare

Nel pomeriggio del 13 ottobre si è tenuto a Breno, in Valle Camonica, l’VIII Convegno ISTA – Incontri per lo
Studio delle Tradizioni Alpine – intitolato al tema “Costruire confini nelle Alpi” e promosso dalla Società
Storica e Antropologica di Valle Camonica con la Regione Lombardia e la Provincia di Brescia. All’iniziativa
culturale – tenutasi presso le sale dell’antico Palazzo Federici – ha partecipato fra gli altri Giorgio Federico
Siboni, socio direttivo della Associazione Coordinamento Adriatico e della Società Dalmata di Storia Patria di
Venezia, con un contributo dedicato all’Alto Adriatico: “Dalle Alpi all’Adriatico. I nodi del confine orientale
italiano”. Gli atti del convegno saranno pubblicati fra il 2019 e il 2020. L’autore mette intanto a disposizione
del pubblico dei lettori alcuni capoversi introduttivi del suo contributo di approfondimento di storia
territoriale.
«L’Adriatico in senso generale e più in particolare l’Adriatico orientale, con le Alpi di Carinzia e di Slovenia
nelle due sottosezioni delle Caravanche e Alpi di Kamnik e della Savinja, costituiscono un limes di confluenza
fra modelli e civiltà del Mediterraneo e d’Europa. Una linea di frattura – per essere più pertinenti, secondo la
definizione di Gilbert Bosetti – fra profili linguistici (latini e slavi), etnici (greci, latini, germani, slavi e
ottomani) e religiosi (cattolici, ortodossi e musulmani). Emerge un melting pot di identità in cui sembra
difficile orientarsi. Tuttavia la differenziazione fra i gruppi etnici non deve venire imputata a caratteristiche
intrinseche e immutabili, bensì è il frutto di relazioni cresciute in una concezione dinamica ed evolutiva delle
individualità, reciprocamente imbattutesi l’una nell’altra. Venne quindi a costituirsi una triplice frontiera –
collocata sul monte Forno – dove si incontrano al presente l’Austria, l’Italia e la Slovenia. Un tracciato che
prosegue – quasi in modo simbolico – sino a un’altra tripla linea di demarcazione, quella fra Austria, Slovenia
e Ungheria.
Questo impianto – in apparenza soltanto astratto – appare oggi tanto più importante alla nostra sensibilità
in quanto la globalizzazione, anziché cancellare l’importanza dello spazio geografico, la sta rafforzando. I
mezzi di comunicazione di massa e l’integrazione economica stanno di fatto mettendo a nudo un mondo di
regioni. Al loro interno le storiche fonti di identità locale, etnica e religiosa – sbiadite le ceneri della Guerra
fredda – si stanno riaffermando, ancorate per propria natura a specifici ambiti territoriali. Oggi esistono al
mondo trecentoventitré frontiere terrestri, estese per oltre duecentocinquantamila chilometri. Tale spazio
ammonterebbe a quasi ottocentomila chilometri contando i limiti marittimi, ma meno del trenta per cento
di essi è stato ancora definito. Nel caso europeo si stanno infatti rivitalizzando collegamenti che sembrano
paralleli alla struttura posta in essere dalla stessa Unione e alla sua organizzazione. Basti pensare all’asse
orientale che collega il Veneto con la Slovenia e la Croazia attraverso Trieste».

Giorgio Federico Siboni