Dal lavoro volontario ai gulag l’epopea degli italiani “rimasti”

Scritto da Pietro Spirito, «Il Piccolo», 18/04/13
giovedì 18 aprile 2013

Domani all’Università l’incontro con l’autrice Il libro di Gloria Nemec “Nascita di una minoranza. Istria 1947-1965: storia e memoria degli italiani rimasti nell’area istro-quarnerina”, pubblicato dal Centro di ricerche storiche di Rovigno in collaborazione con l’Unione italiana di Fiume, l’Università popolare e il Dipartimento di studi umanistici dell’Università di Trieste, verrà presentato domani, alle 17, nella sede “Androna Baciocchi” dell’ateneo in via Lazzeretto Vecchio.

Partecipano, oltre all’autrice, Silvio Delbello, presidente dell’Università popolare, Maurizio Tremul, presidente della Giunta esecutiva dell’Unione italiana, Giovanni Radossi, direttore del Centro ricerche storiche di Rovigno e Raoul Pupo. Presiede Marco Dogo. di Pietro Spirito «Ancora ho paura di tutto quello che le ho raccontato, di tutte queste cose (…) questi sono ancora vivi e forse…’ste robe non si sanno…potrebbero esserci conseguenze (…) Sempre qualcuno pol ciorme drio un canton scuro e darme un bel fraco (…)». Questo stralcio di conversazione tratto da una delle interviste realizzate dalla storica Gloria Nemec nel libro “Nascita di una minoranza – Istria 1947-1965: storia e memoria degli italiani rimasti nell’area istro-quarnerina” (Centro di ricerche storiche Rovigno, pagg. 446, s.i.p.), rende bene l’idea di cosa significa, ancora oggi, indagare la realtà – storica e contemporanea – della minoranza italiana in Istria e Quarnero, la comunità dei “rimasti”, come vengono anche definiti, cioè quanti dopo la guerra optarono per restare nelle terre cedute alla Jugoslavia. Nella sua prefazione al volume Raoul Pupo lo ribadisce: «Se nel caso degli esuli si è potuto parlare di memoria negata o nascosta, nel caso degli attuali italiani d’Istria è lecito invece parlare di una memoria impaurita, che ancora oggi stenta ad emergere, quale retaggio di una lunghissima stagione in cui tacere e mimetizzarsi rappresentavano una condizione necessaria di sopravvivenza». È proprio in questa “memoria impaurita” che Gloria Nemec, con rigore e passione, si è tuffata per dare voce – sempre su una solida base documentale e bibliografica – ai “rimasti”, ricostruendo il mosaico sociale, economico, relazionale di quella che la storica definsce «piccola e periferica parte del grande “laboratorio balcanico”».

Che cosa significò prendere parte «all’immane sforzo di ricostruzione entro uno Stato socialista di tipo nuovo», vivendolo appunto come minoranza? Quale furono i vantaggi, se ci furono, e quale il prezzo in termini di perdite, sofferenze, vere e proprie repressioni, lacerazioni familiari? Com’era la quotidianità dei “rimasti”? La scelta di procedere dando voce ai protagonisti – un’ottantina fra donne, uomini, contadini e cittadini, esponenti di partito, impiegati, insegnanti, pescatori e intellettuali, «voci popolari e voci “alte”» -, dà valore aggiunto a uno studio che si addentra in una realtà in gran parte ancora sconosciuta non solo in una prospettiva italiana, ma ancor più europea. Così come la scelta di privilegiare quale fulcro d’indagine le attività economico-produttive, «fattore fondamentale di ripianificazione familiare e di superamento della desolata miseria del dopoguerra», diventa imprescindibile per la ricostruzione di una storia sociale. Dalla collettivizzazione forzata ai “kombinat”, dal lavoro volontario alle miniere, dalle manifatture tabacchi alla navalmeccanica, si aprono, nota Gloria Nemec, «squarci preziosi sulle condizioni di una classe operaia istriana coinvolta nel “senso della competizione socialista” attraverso sovraccarico delle mansioni, stacanovismo, lavoro d’assalto e volontario». Non manca, ovviamente, l’ampia disamina politica, con le terribili repressioni post-Cominform, i gulag quali Oli Otok, l’organizzazione del partito ecc.

E in questo quadro composito emergono le voci distinte e non mediate, di quanti vissero nell’arco di un ventennio durissimo che arriva a metà degli anni Sessanta, «quando parvero concretizzarsi le promesse di un avvenire migliore attraverso l’accesso a libertà possibili, a mobilità professionali e geografiche, a consumi sentiti come indicatori di modernizzazione». E la comunità – con la sue rappresentanze, prima fra tutte l’Unione degli italiani – continuò il difficile cammino di ridefinizione di un’identità e di un futuro.

IL BRANO
Storie familiari tra scelte drammatiche e sogni socialisti
Pubblichiamo un brano del libro di Gloria Nemec “Nascita di una minoranza”.
di GLORIA NEMEC

L’analisi delle fonti orali contempla le diverse condizioni nel ricordare e le modalità del trasmettere, fa emergere l’insieme operoso delle pratiche dirette ad assorbire gli effetti cumulativi dei lutti e dei danni di guerra, delle divisioni territoriali e delle disgregazioni comunitarie. Parte centrale dell’indagine sulle storie familiari è costituita dall’esplorazione delle molteplicità di vincoli e microfattori che indussero alla permanenza, nonostante gli abbandoni di massa, gli stillicidi successivi, le lacerazioni delle parentele e delle generazioni, le sofferte relazioni transfrontaliere. Le difficoltà di percorrere il labirinto delle opzioni, rispetto alle quali emergono robusti deterrenti, compaiono in fondamentale rapporto con i coevi processi d’integrazione. In tale direzione gli istro-italiani inaugurarono sistemi complessi di tipo adattivo, affrontarono iter formativi – linguistici, politico-culturali, di relazione inter-etnica – sperimentando istanze normative e regole implicite per realizzare strategie di sopravvivenza e stabilizzazione. La durata percezione del controllo sociale toccò punte drammatiche dopo il 1948, in particolare ove più violento fu l’impatto con la risoluzione del Cominform: nei centri di forte maturazione antifascista con concentrazioni di classe operaia, come Rovigno, Pola, Albona. Dopo l’esemplare lezione post-Cominform, altre crisi potevano coinvolgere la minoranza in concomitanza con i momenti di acuta frizione con l’Italia, come documentato dalle vicende del suo organo maggiormente rappresentativo, l’Unione degli Italiani dell’Istria e di Fiume. In attesa di acquisire un ruolo di ponte tra i paesi confinanti e di importante scambio culturale, la storia dell’istituzione pare strutturata come una guerra fatta di sconfitte e arretramenti, battaglie vinte e territori riconquistati, in un contesto di perenne ri-legittimazione. (…)Prendono corpo significative riflessioni sull’esuberante moto di speranza giovanile (…) nella proiezione verso un futuro socialista che stava dietro l’angolo, intensamente desiderato e inseguito con forza collettiva.