Le origini istriane di Sergio Marchionne

Gli esuli istriani, fiumani e dalmati hanno appreso con dolore e commozione la notizia della morte di Sergio Marchionne, figlio di un carabiniere abruzzese e di una profuga istriana, Maria Zuccon.

Nel sostrato culturale in cui si è formato il brillante manager erano, infatti, presenti non solo la tragedia dell’abbandono della terra natia ceduta alla Jugoslavia in seguito al Trattato di Pace del 20 febbraio 1947, ma anche i lutti cagionati dai totalitarismi che hanno infierito sul popolo giuliano-dalmata. Il nonno materno, commerciante nel contado polesano, fu infoibato dai partigiani comunisti jugoslavi nelle terribili giornate successive all’8 settembre 1943, allorché centinaia di istriani caddero vittima della prima ondata omicida titoista. Ed uno zio materno, sbandato dopo l’8 Settembre, venne passato per le armi dai tedeschi poco dopo in quanto disertore mentre cercava notizie sulla sorte del genitore.

Tuttavia queste terribili vicende familiari e la scelta della famiglia Marchionne di andare in Canada alla ricerca di migliori condizioni dopo che la Zuccon aveva abbandonato Pola a bordo della motonave Toscana, non sono bastate per annichilire la tenacia e la laboriosità che contraddistinguono il popolo istriano. Sergio Marchionne rientra a pieno titolo in quella generazione dei figli dell’Esodo che si rimboccarono le maniche e contribuirono al riscatto sociale di famiglie che avevano perso case, terreni ed attività lavorative. Come Missoni, Luxardo, Andretti, Benvenuti e molti altri, Marchionne ha risalito la china e conservato, come tantissimi esuli, il ricordo delle sofferenze patite dalla propria famiglia con modesto riserbo.

Solo nel 2012 Marchionne partecipò alle cerimonie del Giorno del Ricordo a Torino, ma la sua splendida esperienza professionale su entrambe le sponde dell’Oceano Atlantico simboleggia perfettamente il reinserimento sociale della comunità della diaspora adriatica, portatrice di valori genuini come la dedizione per il lavoro e la determinazione nel recuperare ciò che le ingiustizie della storia hanno rovinato.

Renzo Codarin, 26 luglio 2018