Nazionalizzazione e amministrazione tra le due guerre

Nazionalizzazione e amministrazione tra le due guerre. Il Ministero delle Terre Liberate tra tensioni politiche e crisi istituzionali” a cura di Davide Lo Presti e Davide Rossi (Angeli, Milano 2021) è un volume che raccoglie un lavoro di ricerca sviluppato da Coordinamento Adriatico Aps grazie ad un contributo della L. 72/2001 ed è stato pubblicato nella rinomata collana “Scritti di Diritto Pubblico”.

Pubblichiamo uno stralcio della Premessa scritta dal Prof. Avv. Giuseppe de Vergottini, Presidente di Coordinamento Adriatico Aps.

Un Ministero inesplorato

Da quasi venticinque anni Coordinamento Adriatico, di cui sono fondatore e presidente, si è posto l’obiettivo di divulgare la cultura e la storia dell’Alto Adriatico, con la precipua finalità di riuscire a colmare un vuoto creato prettamente da ragioni politiche ed ideologiche, che ha relegato il confine orientale ai margini dell’Italia, quasi fosse un’appendice esterna o non pienamente rientrante nel panorama nazionale.

Un impegno arduo a cui hanno contribuito numerosi docenti e studiosi, italiani quanto stranieri: senza alcuna pretesa di esaustività e soffermandoci solo sugli anni più recenti, significativamente si possono ricordare tanto i lavori sulla toponomastica in Istria, Fiume e Dalmazia, sul Trattato di Osimo – con cui l’Italia siglava formalmente i propri confini con la Repubblica socialista federale di Jugoslavia –, sull’impresa dannunziana, quanto imponenti lavori collettanei con cui cercare di ripercorrere un tessuto giuridico ed istituzionale poliedrico e complesso.

Una trama che corre lungo tutto il Novecento e le cui radici si innervano nella cosiddetta questione sociale originatasi nell’ultimo decennio del secolo precedente e che giuridicamente si era trasformata in un forte malcontento e in una profonda crisi del sistema della rappresentanza politica, che la Grande guerra aveva certamente acuito ed amplificato. Neppure l’agognata pace europea e la prospettiva di completare il percorso risorgimentale bastavano a colmare l’irrompere sulla scena pubblica di masse popolari desiderose di un cambiamento, di strappare conquiste tangibili e con un forte bisogno di

affermare identità e ruoli pubblici. Per la prima volta, protagoniste di quei sommovimenti tumultuosi sono folle di uomini e donne coinvolti in un processo di alfabetizzazione politica che la guerra aveva inevitabilmente contribuito ad accelerare.

In questo contesto il 1919 raffigurò una tappa fondamentale per il percorso politico italiano, tanto da essere considerato da parte della storiografia un vero spartiacque: il 18 gennaio don Luigi Sturzo fondò il Partito popolare italiano; il 23 marzo nacquero a Milano i Fasci

di combattimento, capitanati da Benito Mussolini; l’11 settembre, da Ronchi, Gabriele D’Annunzio, riuscendo ad amalgamare tra loro anime diversissime di anticonformismo, irredentismo nazionalista e futurismo militarista, parte alla volta di Fiume; quindi, il successivo 16 novembre, si tennero le prime elezioni politiche con il sistema proporzionale, fortemente sostenuto da Francesco Saverio Nitti, il cui intento era quello di riuscire a tradurre in forza parlamentare il crescente consenso delle organizzazioni politiche di massa, che nei vecchi collegi uninominali non riusciva ad emergere. A questa profonda crisi interna si deve aggiungere una forte instabilità internazionale: l’Italia, pur essendo un paese vincitore, non giocò mai un ruolo centrale nello scacchiere geopolitico, subendo le influenze di realtà ben superiori come gli Stati Uniti d’America in primis, ma anche della Francia e dell’Impero britannico, mentre i quattro imperi crollati – l’austroungarico, il tedesco, l’ottomano e quello russo – neppure furono coinvolti nelle conferenze di pace.

In questo clima particolarmente teso ed instabile, il confine orientale diviene il luogo in cui si innervano tutte le tensioni e la cui gestione si mostrerà alquanto complessa.

Si iniziò a ricorrere alla definizione di questione adriatica, che si adopererà pure dopo il secondo conflitto mondiale, fi no alla caduta del muro di Berlino, per manifestare la delicatezza del tema all’interno degli assetti europei.

A Carlo Sforza, personaggio molto influente in campo internazionale e proveniente dalla carriera diplomatica, venne attribuito il gravoso compito di presiedere il Ministero degli Esteri. Tra i suoi primi atti vi fu la promozione del negoziato posto a Rapallo con i rappresentanti del Regno slavo meridionale, in cui palesò senza timore le proprie intenzioni, volendo fissare la frontiera terrestre allo spartiacque alpino da Tarvisio al Quarnaro (compreso il Monte Nevoso), con la costituzione di Fiume in Stato libero, collegato al territorio italiano da una linea costiera e l’attribuzione all’Italia della città di Zara e delle isole di Cherso, Lussino, Lagosta, Pelagosa (e Lissa, poi non ottenuta).

L’accordo venne sottoscritto il 12 novembre 1920, cui seguì una successiva stipula il 25 novembre 1920 a Santa Margherita Ligure, in cui presero corpo una serie di intese economiche e finanziarie, oltre che una convenzione per la mutua difesa.

Contemporaneamente, l’intento di amalgamare le Nuove Province al resto del Regno era direzionato dal desiderio di uniformare gli schemi giuridici ed amministrativi, evitando pericolose forme di autonomia che al tempo godevano di poca fortuna nè volendo sostenere progetti che prevedessero il ricorso a strumenti istituzionali differenziati. Inoltre, era necessario provvedere ad un ripopolamento di italiani in zone dalla forte densità slava, dando impulso alla lingua italiana, e sostenendo un’economia in forte crisi, per aver vissuto in prima linea i drammi della guerra.

Da qui la prospettiva di istituire un ministero ad hoc, che potesse gestire la ripartenza e la ricostruzione attraverso strumenti e modalità tipici dell’accentramento amministrativo.

Un’esperienza raramente conosciuta e poco approfondita, che ha avuto due direttrici, quella del confine orientale e della Venezia Giulia e quella delle zone trentine e dell’Alto Adige. Si tratta di un tassello fondamentale per ricostruire le scelte politiche compiute, valutarne la portata e – a distanza di anni – discuterne la bontà e l’efficienza.

Il progetto, partito con prospettive ambiziose, si è dovuto ridimensionare a causa della pandemia e delle enormi difficoltà di accesso agli archivi.

La volontà è comunque quella di continuare sulla strada intrapresa, ma già il cammino compiuto ha offerto importanti risultati.

Dalla lettura dei saggi curati da Davide Rossi e Davide Lo Presti emergono le modalità di edificazione dell’impianto ministeriale, la scelta degli uomini cardine, la filiera decisionale, la realizzazione di quanto promesso, come pure i fallimenti o lo spreco di risorse pubbliche.

Sono altresì lieto che questa raccolta trovi spazio nella collana diretta da Fulvio Cortese, Roberto Bin e Aldo Sandulli, a riprova che la storia – in questo caso istituzionale e giuridica – non è un semplice orpello culturale, ma un fondamentale strumento per la comprensione del presente e un parametro di valutazione per mantenere la direzione

verso le scelte future da intraprendere.

Giuseppe de Vergottini
Presidente Coordinamento Adriatico Aps