L’odissea finisce. A Trieste apre il museo istriano

TRIESTE – Il museo dell’Irci aprirà i battenti venerdì prossimo dopo una lunghissima gestazione. L’hanno annunciato ieri, raggianti, i dirigenti dell’Irci assieme all’assessore alla cultura Paolo Tassinari: la presidente Chiara Vigini, la vicepresidente Maria Masau Dan e il segretario Raoul Pupo non hanno nascosto la fatica degli ultimi giorni prima dell’apertura e nemmeno la soddisfazione per il risultato ormai prossimo. «Come l’altro museo storico inaugurato di recente, il de Henriquez – ha commentato Tassinari -, anche il museo dell’Irci ha una storia lunga. Entrerà a far parte dei musei civici e speriamo che quanto prima l’Irci riordini la sua preziosa biblioteca, così da diventare un centro di studi vero e proprio». L’assessore ha sottolineato che si tratta di «un museo moderno, così come vorremmo che fossero oggigiorno».

La presidente Chiara Vigini ha colto l’occasione per tirare le fila del suo mandato, prossimo a conclusione: «L’Irci è è stato creato sulla scia del trattato di Osimo, negli anni ’80, ed ebbe subito uno spirito internazionale». È questo il respiro che Vigini ha tentato di ridare all’ente: «Abbiamo voluto dar vita a un museo che non si limiti a salvare una cultura, ma crei legami e relazioni, soprattutto oggi che l’Adriatico è nuovamente riunito sotto la bandiera europea». Il museo è stato così il «primo obiettivo» del suo mandato «anche se questi tre anni non sono stati facili, ma intessuti da molte dinamiche frenanti: tante energie che volevo dedicare alla cultura ho dovuto usarle per scoprire e tappare buchi economici e finanziari».

Masau Dan ha rilevato che il museo andrà a coprire la carenza sul lato etnografico dell’offerta museale triestina: «Per quanto riguarda l’allestimento, si è cercato di creare degli elementi di suggestione, si è puntato molto sulla componente evocativa e non solo sulla descrizione. Il museo non annoierà, sarà pieno di cambiamenti lungo il percorso, dotati di un linguaggio quasi teatrale». Il professor Pupo ha aggiunto delle considerazioni di carattere storico: «Da anni è in corso un dibattito vivace su come si musealizza la storia delle terre plurali. Trieste attirerà molte attenzioni». In primis, ha aggiunto, «ci vuole l’onestà: questo è il museo di una parte della civiltà di quelle terre. Il filone a cui fa riferimento è quello della cultura latina, romanza e veneta. È una parte, pur fondamentale, ma ce ne sono altre. Noi l’abbiamo privilegiata perché oggi è un po’ in ombra in quelle terre, ma bisogna essere consci di ciò».

Come ricostruire una visione complessiva? «Laddove possibile l’abbiamo fatto già qui. I nomi degli attrezzi agricoli, comuni ai contadini di tutti i gruppi, sono riportati in diverse lingue. Le differenze si trovano invece sulla cultura alta. E qui la visione complessiva si ottiene solo facendo rete. Da domani potremo fare un museo virtuale complessivo della civiltà istriana assieme a colleghi della repubblica slovena e croata. Via Torino è un portale per accedere a quel mondo, un mezzo per ricostruire un’identità plurale come quella di Istria, Fiume e Dalmazia».

Giovanni Tomasin, «Il Piccolo», 24/06/15