Ricordando Carnier, studioso dell’occupazione cosacca della Carnia

Martedì 7 dicembre è morto a 95 anni d’età Pier Arrigo Carnier, studioso carnico di storia locale che ha, però, fatto conoscere agli italiani la travagliata storia del Kosakenland, una vicenda che si intreccia con la complessa vicenda del confine orientale italiano, così come si è interessato della Resistenza in Carnia e Friuli orientale, con particolare riferimento alle circostanze che porteranno all’eccidio delle Malghe di Porz?s.

Carnier, classe 1926, viveva a Porcia, in provincia di Pordenone. Storico e giornalista, ha collaborato, tra l’altro, ai quotidiani «Il Gazzettino», «L’Arena» e il «Messaggero Veneto». Tra le sue pubblicazioni ricordiamo L’armata cosacca in Italia (1944-1945) e Lo sterminio mancato. La dominazione nazista nel Veneto orientale (1943-1945), entrambe edite da Mursia.

Nell’ambito della Zona di Operazioni Litorale Adriatico, infatti, il regime nazista affidò il presidio della Carnia, ove si era costituita una Repubblica partigiana, e dell’Alto Friuli a migliaia di collaborazionisti cosacchi che, dopo aver combattuto a fianco delle truppe dell’Asse contro l’Unione Sovietica, abbandonarono le proprie terre d’origine (Caucaso e bacino del Don) in seguito alla ritirata dell’inverno 1942-’43. Temendo le ritorsioni della dittatura staliniana, i reparti cosacchi vennero dislocati in un altro fronte portandosi le famiglia al seguito: si trattava degli epigoni di quei cosacchi che nella guerra civile russa, scatenatasi dopo il crollo dell’Impero zarista e l’ascesa dello Stato dei Soviet, avevano combattuto nelle “Armate bianche” in funzione anticomunista. Nei piani nazisti quindi non solo c’erano velleità annessionistiche nei confronti del porto di Trieste, ma anche disegni di riorganizzazione etnica, trapiantando sul territorio combattenti che ancora si destreggiavano nella cavalleria, si erano portati dietro anche cammelli delle steppe e soprattutto usi e costumi mai visti prima dalle comunità autoctone. I nuovi arrivati erano in gran parte ortodossi, ma vi erano anche islamici: entrambi combatterono aspramente contro le formazioni partigiane della zona. Ritiratisi in Austria al momento del collasso delle truppe tedesche in Alta Italia, furono fatti prigionieri dai britannici che, coerentemente ad accordi presi tra Roosevelt, Churchill e Stalin, li consegnarono alle truppe sovietiche: la deportazione in Siberia ed il processo ai capi militari rappresentavano una sorte alla quale non si rassegnarono le centinaia di cosacchi che preferirono suicidarsi in massa gettandosi nelle acque della Drava.

Se Arrigo Carnier ha lavorato con passione per ricostruire questa storia in maniera documentata ed approfondita, non disdegnando alcuni riferimenti alle problematiche interne alla Resistenza friulana, divisa tra “bianchi” e comunisti favorevoli all’annessione del Friuli orientale e della Venezia Giulia alla nascente Jugoslavia titoista, un altro autore di queste terre ha romanzato in maniera efficace la tragedia cosacca. Si tratta di Carlo Sgorlon che con “L’armata dei fiumi perduti” conseguì peraltro il Premio Strega nel 1985.

Lorenzo Salimbeni