Senza il ponte di Sabbioncello la Croazia perde Schengen

Scritto da Mauro Manzin, «Il Piccolo», 31/10/13
giovedì 31 ottobre 2013
TRIESTE – Dissinnescata, almeno in apparenza, la mina “lex Perkovic” relativa all’estradizione in Germania dell’anziano 007 titino accusato di omicidio di un fuoriuscito croato, sulla strada della Croazia verso il regime di Schengen ora si frappone un altro ostacolo che si chiama ponte di Sabbioncello, Peljesac in croato, che dovrebbe “scavalcare” l’insenatura (bosniaca) di Neum in direzione Ragusa (Dubrovnik). Senza quest’opera, infatti, la Croazia non avrebeb quella continuità territoriale che è una condizione “sine qua non” per entrare nel “club” senza frontiere di Schengen. E Zagabria si trova ora di fronte a due ostacoli: il tempo (tre anni per completare l’adeguamento ai criteri di Schengen) e di struttura (realizzare nello stesso tempo il ponte) per poter entrare nell’area nel 2015 come più volte affermato dal governo Milanovic. I consulenti francesi dovrebbero a breve presentare i risultati del loro lavoro relativi al progetto di fattibilità dell’infrastruttura e del co-finanziamento dell’opera da parte dell’Unione europea.
Scartata anche a Burxelles l’opzione del tunnel o di una rete di collegamenti via traghetto restano in ballo due possibilità: il ponte, per l’appunto, e un corridoio sulla terra ferma. Il ponte, i cui progetti sono praticamente pronti, costerebbe 285 milioni di euro e soddisferebbe i ciriteri di connettività, libera disponibilità e sicurezza chiesti dal regime di Schengen. Il corridoio “terrestre” costerebbe meno ma, per soddisfare i criteri di Schengen, dovrebbe essere una “fetta” extraterritoriale con recinzioni sicure da ambo i lati per scongiurare qualsiasi accesso sul territorio bosniaco. Sarajevo, per ora, nicchia, si è detta contraria al ponte e pone mille cavilli per la soluzione “terrestre”. Il premier croato Zoran Milanovic. dal canto suo, dopo un iniziale favore boccia l’opzione “corridoio” e punta tutto sul ponte. Alla fine, anche qui, sarà l’Europa a “dover” fare la voce grossa. (m. man.)