Trieste. Greensisam in Porto Vecchio, battuta d’arresto

Scritto da «Il Piccolo», 13/07/09

L’agenda prevedeva il vaglio degli ultimi dettagli. Da lì sarebbe nata l’approvazione del progetto esecutivo per i lavori targati Greensisam sugli hangar 1A e 3, i due magazzini affacciati sul mare inseriti nel futuro insediamento in Porto Vecchio da 37mila metri quadrati di Italia Marittima ed Evergreen per l’Europa centro-orientale con 200 posti di lavoro. E invece – alla Conferenza dei servizi della scorsa settimana che si presumeva decisiva per il nuovo quartier generale di Pierluigi Maneschi, presidente di Italia Marittima e agente generale italiano di Evergreen – tecnici e manager di Comune, Autorità portuale, Demanio e Greensisam si sono ritrovati sul tavolo una lettera che ne ha raffreddato le prospettive di poter chiudere la partita a breve. La firma è del direttore regionale dei Beni culturali Roberto Di Paola, che fa notare come il progetto dei due hangar frontemare, gli unici fra i cinque magazzini compresi nella concessione cui manca l’ultimo via libera istituzionale, non risulti conforme a disposizioni formulate a suo tempo dalla stessa Soprintendenza. Da qui la necessità di una verifica, di un nuovo confronto tra i progettisti di Greensisam e i funzionari dei Beni culturali. Altrimenti la licenza a costruire può aspettare.
Potrebbe essere lecito immaginare, per chi conosce la storia degli hangar 1A e 3 con la nota perplessità del sindaco Dipiazza, un passo indietro rispetto all’aumento delle altezze da 12 a 17 metri con la base contenuta nel sedime dei magazzini originari, consentito da un decreto del predecessore di Di Paola, Ugo Soragni. Un passaggio determinante, sostiene Maneschi, per fare di Porto Vecchio – di Trieste insomma – la doppia sede di Italia Marittima e soprattutto di Evergreen per l’Europa centro-orientale, finora concentrata ad Amburgo. Ma non è una questione di altezze, frenano tutti: sul piano in più non si torna indietro. Di Paola, suggerisce qualcuno, potrebbe piuttosto non aver gradito il dare per scontate molte cose dopo la soluzione della grana dell’altezza, come se il piano in più fosse l’unico nodo. Il problema è invece più ampio. «La Soprintendenza – spiega il segretario dell’Authority Martino Conticelli – non mette in discussione la sopraelevazione in se stessa. Il rilievo è sul coordinamento fra le prescrizioni e il progetto da un punto di vista architettonico e paesaggistico». E visto che l’altro giorno si eran trovati per discutere dell’approvazione del piano esecutivo «è ovvio che i tempi si allunghino». Già, ma di quanto? Niente paura, assicura il progettista e manager di Greensisam Gennaro Albamonte. Che puntualizza: «Sui tre magazzini retrostanti siamo pronti e per gli hangar 1A e 3 contiamo di arrivare all’approvazione del progetto esecutivo in autunno. La Soprintendenza chiede chiarimenti e noi lo faremo immediatamente. È normale routine quando ci si confronta in una Conferenza dei servizi». Chiarimenti di che tipo? «Non sull’altezza – risponde Albamonte – bensì su particolari architettonici di rifinitura che rispondano a quelli preesistenti, dai terrazzi alle ringhiere ad esempio».

C’è però chi, da palazzo, come l’azzurro Piero Camber, auspica che a muoversi non siano solo i tecnici di Greensisam, ma anche i rappresentanti degli enti territoriali. «È necessario – dice – un tavolo immediato di chiarimento tra le istituzioni. Tornare indietro ora sarebbe incomprensibile. Sono in ballo troppi anni, troppe esposizioni di capitale». L’investimento in quell’area si avvicina a 160 milioni tra sedi marittime operative ma non solo, visto che il progetto contempla un albergo, una foresteria, uffici, negozi, botteghe artigianali, parcheggi e un marina. Chiude Camber: «Nel momento in cui esultiamo per il piano regolatore portuale e le concessioni (sul resto del waterfront asburgico l’ha spuntata il cartello Maltauro-Rizzani de Eccher, ndr) sorgono questioni sul pezzo più appetitoso, il trait d’ union tra città e Porto Vecchio. I conti non tornano». Un’area su cui a inizio anno, peraltro, aveva indagato la Corte dei conti per danno erariale per effetto del canone da 296 euro l’a nno per il periodo 2005-2010 nato da una delibera di quattro anni fa dell’Authority, ma orfana di firma.