Gorizia: sopravvissuti molti dei 665 deportati

Scritto da «Il Piccolo», 09/07/14
mercoledì 09 luglio 2014

Non tutti i 665 “fratelli inermi” come li definisce il monumento del parco della Rimembranza, edificato a 40 anni dalla tragedia, il 3 maggio 1985, trovarono la morte in Jugoslavia, a fine guerra, a seguito delle deportazioni. Alcune decine riuscirono a far ritorno in Italia. Lo rende noto una dettagliata ricerca che costituisce la sezione più importante del nuovo numero della rivista Isonzo-Soca che viene presentato oggi, alle 11.30, nel cortile interno del Kb Center (Corso Verdi, 51). «Ciò, sia chiaro, non sminuisce in alcun modo la portata della tragedia – afferma il direttore del “giornale di confine” Dario Stasi -. Nessuno mette in discussione l’esistenza di quei gravissimi e tragici fatti dell’immediato dopoguerra durante l’occupazione jugoslava della città, gli arresti e le uccisioni dei cittadini inermi, perfino degli antifascisti Olivi e Sverzutti. Quello che ci interessa, invece, è, come dice lo storico Roberto Spazzali, nel suo libro sulle foibe «la necessità di una verifica sulla base di nuovi criteri di valutazione ed analisi. E ciò per eliminare ogni dubbio statistico in merito a un fatto storico che non può essere comunque negato».

Non è la prima volta che Isonzo-Soca si occupa dell’argomento. Già nei suoi primi numeri, nel 1990, fece chiarezza sulla storia di Ugo Scarpin che erroneamente rientrava nel gruppo dei 665 trucidati; la rivista rintracciò Scarpin e lo fotografò con i suoi nipoti. Il numero sul monumento non venne corretto, ma, per decisione dell’allora sindaco Antonio Scarano, il nome di Scarpin venne cancellato dal lapidario. Ora, appunto, qualora venisse utilizzato lo stesso metro sembrerebbe corretta anche la cancellazione dei nomi delle altre decine che riuscirono a salvarsi. Il motivo di tali errori nel nome e nel numero dei deportati, a detta di Stasi, «è dato dall’utilizzo di elenchi evidentemente inattendibili, come peraltro ha sostenuto e sostiene Roberto Spazzali». Di certo, si tratta di una rivelazione che non mancherà di far riflettere e tornare su uno degli argomenti più spinosi della nostra tragica storia. Non solo di ciò, tuttavia, si occupa il nuovo numero della rivista. Infatti, la copertina si apre con la riproduzione di un lavoro di Franco Dugo che ritrae John Fitzgerald Kennedy, alla Transalpina, accanto al filo spinato della cortina di ferro e nell’atto di indicare la Stella Rossa. Kennedy venne davvero alla Transalpina, nel dicembre ’52 quando non era ancora presidente degli Usa ma “solo” senatore del Massachusetts. Dal giornale di confine la Transalpina viene presa a esempio di un mondo che è cambiato. «Sia quella Stella Rossa che lo stesso Kennedy sono i simboli della guerra fredda: la storia del mondo è la storia di quella piazza che davvero non sembra valorizzata come dovrebbe», afferma Stasi.

«UN ERRORE NON INTACCA L’ENORMITÀ DELLA TRAGEDIA»
Maria Grazia Ziberna (Anvgd): «Spero che la rivista manterrà la serietà della sua ricerca». «Si è saputo successivamente che alcuni dei 665 deportati sono rientrati in Italia ma non si è neppure continuato a fare un discorso storico preciso per ricercarne altri rimasti ignoti e che magari hanno subito la deportazione: voglio dire che la sostanza della tragedia non cambia».«L’importante – continua – è che non venga intaccata la mostruosità del gesto e non ho dubbi che Isonzo-Soca manterrà il più possibile la serietà della sua ricerca. È un po’ come a Redipuglia o a Oslavia: non sarebbe certo una definizione più precisa nei numeri che cambierebbe l’enorme portata della tragedia».È l’opinione di Maria Grazia Ziberna, presidente della sezione goriziana dell’associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (Anvgd), sulla ricerca del “giornale di frontiera” riguardo il numero dei deportati scomparsi in Jugoslavia e ricordati nel monumento del parco della Rimembranza, edificato a 40 anni dalla tragedia.Certo è come l’argomento, nonostante che siano passati ormai molti anni, non mancherà di (tornare a) far riflettere. Purtroppo, la storia di Gorizia passa anche attraverso quella tragedia che Isonzo-Soca non intende in alcun modo negare.Sul punto Laura Stanta, del Comitato delle famiglie dei congiunti e dei deportati che ha lavorato negli spazi che la Prefettura ha messo a disposizione per fornir loro informazioni («anche se da aprile il servizio è cessato» tiene a precisare) afferma.«Anch’io ho notizie di alcuni che compaiono fra i 665 deportati ma che, fortunatamente, hanno fatto ritorno in Italia. In certi casi, non abbiamo potuto fornire notizie più precise di quante ne abbiamo fornite. Coloro che sono ritornati in Italia non hanno, almeno a quanto io ne so, comunicato di essere rientrati».

SONO 17 I DEPORTATI SOPRAVVISSUTI
(«IL PICCOLO», 10/07/14) di Alex Pessotto

Qualcuno può interpretarla come una macabra contabilità, qualcuno come una preziosa occasione per rileggere la storia. E ciò in un territorio, il nostro, dove il passato, per un motivo o per un altro, è assai presente. Parliamo della ricerca pubblicata dalla rivista Isonzo-Soca di cui ieri, nel cortile interno del KB Center, è stata annunciata l’uscita del nuovo numero, il 103.mo. Fra i nomi dei 665 deportati sul monumento del parco della Rimembranza troviamo quelli di 28 finanziari. Di questi 28, 17 hanno fatto ritorno in Italia a guerra finita. La ricerca è contenuta in un libro edito dalla Leg (“Dal primo colpo all’ultima frontiera. La Guardia di Finanza a Gorizia: una storia lunga un secolo”) e avente per autori proprio due finanziari: Michele Di Bartolomeo e Federico Sancimino. Appunto, il risultato di tale ricerca è ripreso da Isonzo-Soca che contiene (tra gli altri suoi approfondimenti) pure un’intervista a Di Bartolomeo. A quella dei 17 finanzieri fortunatamente rientrati in Italia va poi aggiunta la storia di Ugo Scarpin, il cui nome è stato cancellato dal lapidario in quanto pur egli era riuscito a rientrare in Italia. Non è tutto. Isonzo-Soca cita anche la ricerca del vicepresidente dell’Anpi provinciale di Gorizia Giuseppe Lorenzon, conclusasi con la sua morte nel 2001, che aveva fornito prove su come già 99 di quei 665 “erano estranei alle deportazioni e agli scomparsi nel maggio del 1945 e che altre 5 persone avevano il loro nome inciso due volte”. Lorenzon, tramite più lettere, informò della ricerca l’allora sindaco Tuzzi e il suo successore Valenti chiedendo la cancellazione dei nomi ma ottenendo risposte negative. «Ora siano gli storici e gli istituti di storia di Trieste e Udine ad approfondire la questione. Sarebbe opportuno arrivare ad esporne i risultati magari in un convegno senza alcuno spirito polemico» ha affermato il direttore della rivista, Dario Stasi. Anche se «i numeri cominciano a essere rilevanti – ha detto, sempre ieri, la storica Anna Di Gianantonio – e possono andar contro le volontà di chi ha fatto costruire quel monumento. Occorre cancellare dal lapidario i nomi di coloro che son rientrati in Italia e avviare una seria azione culturale: e ciò proprio per una pietas nei confronti dei morti». Pure Dario Ledri è intervenuto: «Non si vuole mettere in discussione ciò che è avvenuto a guerra finita. Non cambia nulla se invece di 665 fossero 520. Ma per la verità storica occorre cancellare i nomi che non c’entrano con coloro che sono stati deportati e infoibati, anche a tutela della memoria di coloro che hanno subito un’atroce sorte». Ancora, sono intervenuti, per l’Anpi, Paolo Padovan, («Desideriamo che la verità venga fuori e ciò può essere fatto con il contributo degli storici») e Mirko Primožic («Ben venga la lettera di Romoli a Renzi sulla riapertura degli archivi a patto che si aprano tutti gli archivi, non solo una loro parte»). Ed è intervenuto pure Franco Dugo, autore della copertina di Isonzo-Soca che ritrae Kennedy nell’atto di indicare la Stella Rossa sulla Transalpina; Kennedy, nel ’52, alla Transalpina venne per davvero «anche se non si riesce a trovare una foto di quella visita forse perché non c’è un vero interesse a cercarla», ha chiosato Stasi.