L’ottocento austriaco

L’ottocento austriaco e l’irredentismo in Istria
Scritto da Liliana Martissa Mengoli
Occupata militarmente dalle truppe austriache fin dal 1814, dopo il convulso periodo napoleonico, l’Istria (unitamente al Veneto e alla Dalmazia) con la Pace di Parigi e il Congresso di Vienna, fu assegnata all’Austria.

Il Veneto, perduta l’indipendenza e staccato dall’Istria, venne aggregato alla Lombardia austriaca e divenne Regno Lombardo-veneto, mentre l’Istria ex veneta insieme all’Istria ex arciducale (Contea di Pisino) venne a fare parte del Litorale Austriaco o Küstenland.
La Dalmazia, già appartenente alla Repubblica di S. Marco, divenne possesso della Corona austriaca. Tutti questi territori fecero parte del più vasto Impero asburgico.

L'Italia dopo il Congresso di Vienna. 1815
L'Italia dopo il Congresso di Vienna. 1815
Il Litorale austriaco era una nuova unità amministrativa che comprendeva oltre all’Istria e alle isole di Cherso, Lussino e Veglia (già veneziane), anche possedimenti ereditari della casa d’Austria come la città di Trieste con il suo circondario e la Contea di Gorizia e di Gradisca. Era retta da un imperial-regio Governatore (in seguito Luogotenente) con sede a Trieste ed era suddiviso in vari Circoli, amministrati localmente da Capitani Circolari.
Nel primo periodo della Restaurazione, si era posto il problema di un assetto costituzionale per il Litorale come per le altre vecchie province dell’Impero asburgico e, a tale fine, venne chiesto un parere ai Circoli perché si pronunciassero sul progetto di una costituzione provinciale, che fosse rappresentativa del territorio, sulla base delle differenti esperienze locali. Per il Circolo d’Istria vennero interpellati il Conte Giovanni Totto di Capodistria, il commissario distrettuale di Pirano Felice Lanzi e il marchese Giovanni Paolo Polesini che formularono dei pareri scritti, come pure fecero i Circoli di Gorizia, di Fiume e di Carlstadt e la Commissione di Trieste, ma alla fine il progetto di una rappresentanza politica unitaria e di una Costituzione provinciale per il Litorale fu accantonata, forse per la manifesta diversità delle tradizioni giuridiche e amministrative sussistenti al suo interno.
Dopo vari rimaneggiamenti, dal 1825 il Litorale austriaco fu suddiviso in due Circoli, ilCircolo di Gorizia e il Circolo dell’Istria (che ebbe sede a Pisino e successivamente a Parenzo e a Pola). Il territorio di Trieste faceva parte a sé, mentre Fiume e il litorale liburnico erano assegnati all’Ungheria, nell’ambito dell’Impero.
I Circoli furono suddivisi in distretti, alla cui autorità furono sottoposti i Comuni istriani, la cui autonomia fu soppressa insieme agli antichi Statuti non più operanti in seguito all’introduzione della legislazione austriaca.
Con l’aggregazione al Circolo di Pisino negli anni 1823-25 di nuovi distretti, che erano di etnia slava come Podgrad-Castelnuovo, Bellai e Castua, venne ulteriormente alterata la fisionomia etnica e culturale della regione istriana, non avendo i nuovi abitanti lingua e storia in comune con gli istro-veneti (Visualizza doc.1)
L’autorità provinciale del Litorale aveva funzioni di amministrazione generale, di polizia e di controllo delle autorità locali. Il podestà era nominato da i.r. commissari distrettuali, burocrati di scarsa preparazione e cultura, per lo più stranieri che spesso ignoravano la lingua e le tradizioni del luogo. La “modernizzazione” dell’Istria consistette nel trapasso da una forma di governo aristocratico, quel’era quello della Repubblica di S. Marco, ad un regime rigidamente burocratico, che prevedeva un legame diretto dei sudditi all’Imperatore a cui si doveva fedeltà; il vincolo dinastico, che veniva esaltato dalla propaganda del clero, era l’unica forma di aggregazione per territori tanto disomogenei
Litorale 1846

Il Litorale in un primo periodo (1915-1861) venne incluso in un fantomatico Regno d’Illiria, che non ebbe alcuna consistenza politica e neppure amministrativa, ma costituiva un mero titolo araldico che veniva ad arricchire il Grande stemma della Casa d’Austria

Il Grande stemma di Ferdinando I, Imperatore d’Austria (1836). Archivio di Stato di Trieste
Il Grande stemma di Ferdinando I, Imperatore d’Austria (1836). Archivio di Stato di Trieste

Il Regno (Corona) d’Illiria, rappresentato nel riquadro centrale in fondo, comprendeva nell’ordine: Carinzia, Carniola, Marca dei Veneti, Friuli, Trieste, Gradisca, Istria, Gorizia e infine le città già veneziane della Dalmazia quali Ragusa (oggi Dubrovnik), Zara e Cattaro.

Si noti come tale Corona sia posta accanto alla Corona del Lombardo Veneto (riquadro a sinistra in basso) comprendente anche altri territori italiani, i possedimenti di Toscana, Modena, Piacenza e Guastalla.

Si noti ancora come la Dalmazia continentale sia invece rappresentata sotto la Corona di Ungheria e posta nel riquadro in alto a sinistra, insieme alla Croazia, alla Schiavonia e alla Transilvania. Viene evidenziato in questo modo come non ci sia continuità fra la Croazia e i territori dell’Istria e della Dalmazia costiera. Per l’interpretazione dei simboli araldici vedasi descrizione del Grande Stemma (visualizza doc.2)

Nella prima metà del secolo ci fu da parte del Governo austriaco un tentativo di germanizzazione del Litorale con l’imposizione della lingua tedesca nelle scuole Medie e Superiori e nelle pratiche di governo, anche se in Istria l’italiano rimase la lingua usata nell’amministrazione locale, nonché nei tribunali (la Patente Sovrana del 1815 recitava “Le Parti, non meno che i loro Patrocinatori dovranno nei loro atti servirsi dell’idioma italiano”).

Certo è che l’Istria, dopo il distacco dal Veneto che godeva nel Regno Lombardo Veneto di una costituzione più liberale (in cui l’italiano era riconosciuto come lingua di governo) soffrì di trovarsi isolata dalla sua tradizionale area di appartenenza e aggregata ad una realtà etnica e culturale ad essa estranea, di carattere continentale, di tradizione agricolo-feudale e clerico-dinastica.

Era naturale perciò che i ceti più colti dell’Istria, che si formavano all’Università di Padova o in altre istituzioni della nostra penisola, assorbissero le idee progressiste del liberalismo italiano nelle sue diverse forme.

Il fenomeno dell’irredentismo adriatico (anche se il termine fu coniato appena nel 1877 da parte di Francesco Imbriani), ebbe modo di manifestarsi già nel ’48, all’indomani delle insurrezioni scoppiate a Vienna e successivamente a Venezia (in cui fu proclamata la Repubblica). A Milano, i cittadini insorti costrinsero le truppe austriache del maresciallo Radetsky ad evacuare la città e con l’intervento militare del Regno Sabaudo in Lombardia iniziò la prima guerra di indipendenza.

Tali avvenimenti suscitarono nelle cittadine istriane entusiasmi e speranze. Fu istituita la Guardia nazionale di napoleonica memoria e la popolazione si abbandonò a baldorie per le strade, salutando con euforia la emanazione della Costituzione di Vienna, esibendo coccarde bianche, rosse e verdi, in segno di appartenenza nazionale italiana e inneggiando a Papa Pio IX.

Il timore di una insurrezione creò allarme nella autorità austriache come si desume, ad esempio, dalle lettere fra l’I.R. Luogotenente del Litorale e il commissario del distretto di Pirano. Quest’ultimo, l’11 aprile rispondeva al suo superiore che sarebbe stato opportuno rinforzare la guarnigione di Pirano, portandola ad almeno 600 uomini per le sempre più manifeste simpatie della popolazione per l’Italia. Temeva che potesse essere issata la bandiera repubblicana, dato che la gioventù del luogo, in specie la Guardia nazionale con a capo l’avv. Venier, portava sul petto una croce come simbolo di una crociata italiana che si stava organizzando (visualizza doc.3 )

Lo stesso generale Nugent, presente in Istria, propose di armare le popolazioni slave dell’Istria interna e montana per servirsene, al bisogno, contro gli italiani animati di sentimenti ostili all’Austria. Per fortuna la proposta fu saggiamente bocciata dal capitano del Circolo di Pisino, barone Grimschitz, timoroso di alimentare una guerra civile, perché gli slavi dell’Istria ex austriaca, avrebbero potuto sfogare il proprio odio con rapine ed atti di violenza, indiscriminatamente, nell’Istria ex veneta.

La flotta sardo-veneziana intanto incrociava al largo della costa istriana alimentando l’entusiasmo e la volontà di molti giovani, decisi a combattere a fianco dei piemontesi nella prima guerra di indipendenza e in difesa della Repubblica Veneta proclamata da Daniele Manin. Gli istriani domiciliati a Venezia sottoscrissero la propria adesione alla Repubblica e il nobile Nicolò de Vergottini di Parenzo fu nominato prefetto dell’ordine pubblico (e a lui si deve se l’ordine della città assediata non fu mai seriamente turbato).

A Venezia venne anche istituita una Commissione per la costituzione di una Legione dalmato-istriana per coloro che già militavano nei vari corpi dell’esercito veneto.

Al fine di domare quelli che vennero definiti i “repubblicani” dell’Istria, si dichiarò pronto ad accorrere con duemila Cicci (slavi dell’altopiano) il Capitano distrettuale di Pinguente (nell’Istria interna), mentre altrettanti Castuani sarebbero arrivati da oltre il Monte Maggiore.

Per contrastare i sentimenti irredentisti degli italiani della provincia istriana iniziava così da parte delle autorità austriache la politica del divide et impera, che si attuò con una azione di propaganda nei confronti dell’etnia slava, per inculcare nella popolazione croata, che era a quei tempi prevalentemente contadina e interessata più che altro a scuotersi dal giogo feudale, il sentimento di appartenenza nazionale. Tramite il clero slavo delle campagne, si faceva intendere che l’Istria fosse storicamente terra slava e che gli italiani non fossero altro che “ospiti” sul suo territorio. (Visualizza doc.4)

Nel giugno del ’48 ci furono le elezioni per i rappresentanti istriani alla Assemblea Costituente di Vienna a cui furono eletti quattro italiani (Antonio de Madonizza di Capodistria, Michele Fachinetti di Visinada, Carlo De Franceschi di Moncalvo di Pisino, FrancescoVidulich di Lussimpiccolo) e un croato (Giuseppe Vlach) del distretto di Castua.

I quattro rappresentanti italiani, si batterono energicamente, in primo luogo, contro la proposta del deputato germanico Raumer che nella dieta di Francoforte (parlamento della Confederazione germanica di cui faceva parte anche l’Austria) aveva richiesto che anche l’Istria veneta venisse aggregata a tale Confederazione (visualizza documento 5). Nell’agosto dello stesso anno, il deputato Carlo de Franceschi rispose con un vibrante articolo “Per l’italianità dell’Istria”, in cui argomentava le ragioni dell’assurdità della proposta.

La Confederazione Germanica, di cui faceva parte l'Austria.
La Confederazione Germanica, di cui faceva parte l'Austria.

Giovandosi inoltre dell’equiparazione delle nazionalità e delle lingue dell’Impero che era stata messa in atto durante i lavori della costituente di Vienna, i deputati istriani impetrarono il riconoscimento ufficiale della nazionalità italiana dell’Istria, richiedendo che da tutti gli uffici, anche nell’uso interno (ad eccezione che nel distretto di Castelnuovo, che era slavo) venisse abolito l’uso del tedesco.
La risposta del Conte Stadion, Ministro dell’Interno, si fece attendere a lungo, ma alla fine (nel dicembre del 1848) fu negativa con la motivazione che “coll’ordinanza ministeriale emanata mesi fa, che le autorità dell’Istria nelle pertrattazioni colla popolazione italiana debbano adoperare esclusivamente la lingua italiana, fu soddisfatto al diritto della nazionalità italiana; e riesce del tutto indifferente pe’suoi interessi e diritti qual linguaggio usino i dicasteri nelle comunicazioni fra loro e colla popolazione slava”.
Nel 1849 fu tuttavia stabilito che la lingua d’istruzione nelle scuole dell’Impero fosse quella materna anziché quella tedesca.
I quattro rappresentanti italiani a Vienna, che si trovarono in perfetto accordo con i deputati d’estrema sinistra, democratici-rivoluzionari nella loro attività antigovernativa e antidinastica, si adoperarono anche (senza l’apporto del quinto rappresentante istriano di Castua che si era mostrato di idee conservatrici) per chiedere la libertà dai vincoli feudali per le plebi rurali, in massima parte slave dell’Istria ex arciducale, come quelle che nel 1847 avevano inscenato una sommossa, duramente repressa, a Lupogliano contro le onerose prestazioni cui erano sottoposte. In quell’occasione l’avvocato Francesco Combi di Capodistria si era speso in loro difesa con coraggiosi scritti che avevano provocato il suo esonero dalla carica di podestà e l’avvio a suo carico di un processo criminale da parte dell’I.R. commissario Grimschitz.
La proposta di abolizione di ogni vincolo feudale venne a stento approvata e in seguito sanzionata con decreto imperiale nel settembre del Quarantotto.
Ecco di seguito alcune note sui deputati italiani.

Carlo De Franceschi (eletto nel distretto di Pisino, Rovigno e Dignano)
Carlo De Franceschi (eletto nel distretto di Pisino, Rovigno e Dignano)

Laureato in giurisprudenza a Graz, giudice, di idee radicali e fervente patriota, reclamò, in contraddizione con la sua carica di magistrato austriaco, la libertà e l’ indipendenza dell’Istria. Sottoposto a stretta sorveglianza politica, perfino a perquisizione (visualizza doc.6 ), venne dimesso dalla magistratura.
Per primo, pubblicò una geniale sintesi della storia patria, opera a cui non vollero cimentarsi né Pietro Kandler, né Carlo Combi, con “L’Istria. Note storiche” apparso nel 1879.
Nel 1861 fu nominato segretario provinciale della Dieta dell’Istria.
Le sue 24 lettere al figlio del 1884 furono pubblicate col titolo di “Memorie autobiografiche” nel 1925-26 su “Archeografo triestino” con l’arricchimento di documenti in Appendice.

Antonio de Madonizza (eletto nel distretto di Capodistria e Pirano)
Antonio de Madonizza (eletto nel distretto di Capodistria e Pirano)

Dopo gli studi giuridici a Padova e un tirocinio a Trieste presso lo studio legale di Domenico Rossetti, esercitò l’ avvocatura a Capodistria. Considerò la storia come maestra di vita e, col proposito di divulgare presso il popolo la cultura e i diritti nazionali, fu fra i fondatori de “La favilla”, giornale considerato con sospetto dalle autorità austriache.
Figura eminente del movimento nazionale, guidò il gruppo dei deputati istriani alla Costituente di Vienna e alla Dieta di Parenzo del 1861 (“La Dieta del Nessuno”) fu intransigente ispiratore della posizione antigovernativa.
Riprese a partecipare ai lavori della Dieta provinciale appena nel 1867, essendosi convinto che la posizione astensionista del partito italiano era controproducente per gli interessi della sua patria e fondò l’importante periodico “La provincia dell’Istria”.

Francesco Vidulich (eletto nel collegio di Veglia, Cherso, Lussino, Albona e Pola)
Francesco Vidulich (eletto nel collegio di Veglia, Cherso, Lussino, Albona e Pola)

Studiò a Vienna e a Padova dove si laureò in giurisprudenza. Ai lavori della Costituente si pose a sinistra nel parlamento di Vienna e di Kremsier e durante la rivoluzione d’Ottobre fece parte del Comitato di Salute pubblica.
In seguito aderì alle idee dell’ala moderata e legalitaria, contraria alla politica astensionista dei vecchi patrioti che, nella Dieta del Nessuno del 1861 non vollero inviare deputati al Consiglio dell’Impero.
Presidente della Dieta provinciale di Parenzo ed eletto anche alla Camera di Vienna fino alla sua morte, fu abile parlamentare per circa venticinque anni. Si trasferì dalla natia Lussimpiccolo a Parenzo di cui ottenne la cittadinanza onoraria.

Michele Fachinetti (eletto nel collegio di Buie, Montona, Pinguente e Parenzo)
Michele Fachinetti (eletto nel collegio di Buie, Montona, Pinguente e Parenzo)

Giornalista, poeta e patriota della prima generazione, si laureò in giurisprudenza a Padova dove conobbe Prati, Aleardi e il più anziano Tommaseo.
Entrò a fare parte della politica militante nel 1848, quando a Vienna partecipò ai lavori della Costituente; ritornato in Istria, nell’ottobre di quell’anno improvvisò a Parenzo un rivoluzionario discorso politico. Dimessosi da deputato nel dicembre del ’48, si ritirò a Visinada dove continuò la sua opera di scrittore adoperandosi per l’elevazione morale e spirituale del popolo istriano e divulgando ne “Il popolano d’Istria” gli scritti di quanti amavano la patria. Riportiamo, dal suo sonetto “All’Istria”, l’invocazione finale.
O Patria, o lembo del divin Paese,
Il sol che ti riscalda, italo, ardente,
L’alma di Dante e di Ferruccio accese.
E l’arme, i templi, il circo, ogni ruina
Consolano di fede il tuo presente,
O sorella di Roma e cittadina
L’Assemblea costituente di Vienna, che aveva lavorato con grande difficoltà ed era stata trasferita a Kremsier (cittadina morava) in seguito ai disordini nella capitale, venne infine sciolta con la forza nel marzo del 1849 senza che riuscisse a portare a termine i lavori di redazione di una Costituzione democratica.
Il fallimento dei moti del ‘48-’49 non fece cessare l’attività dei patrioti istriani, anche se nel decennio della repressione essi furono sottoposti ad angherie dalle autorità austriache, con una stretta sorveglianza poliziesca (visualizza doc.7) che non risparmiava alcuno strato sociale e neanche gli ex deputati alla Costituente, che furono costantemente tenuti sotto controllo.
Mal sopportavano gli istriani la sempre più stretta unione con l’Impero austriaco e la volontà di sottrarvisi era sempre forte.
Nel 1856 veniva consegnata dal podestà di Capodistria Nicolò de Madonizza al Ministro delle Finanze in visita a Trieste una petizione, ovvero una “Supplica” all’imperatore Francesco Giuseppe contro l’aggregazione della Provincia istriana al territorio doganale dell’Impero, evidenziando i gravi danni per l’economia del paese di un simile provvedimento.

Supplica del 1852 all'Imperatore d'Austria
Supplica del 1852 all'Imperatore d'Austria

Il documento, redatto in lingua italiana e datato 6 giugno 1852, portava la firma di 22 rappresentanti dei Comuni istriani (Visualizza doc. 8).
Si arrivò così al 1859. Allo scoppio della seconda guerra d’indipendenza, nonostante i severi controlli polizieschi, di nuovo gli istriani si arruolarono volontari nell’esercito piemontese e a Milano fu costituito un Comitato per l’arruolamento di marinai del Veneto, dell’Istria e della Dalmazia, che ottenne il gradimento dello stesso Cavour a cui non poteva sfuggire il duplice vantaggio di togliere marinai all’Austria e di farli propri.

Ecco le foto di alcuni volontari di Capodistria (dal volume “ Capodistria”, a cura della Fameia Capodistriana, 1962)

Piero de Madonizza e altri

All’epoca dei preliminari di Villafranca (11 luglio 1859), mentre si vagheggiava la creazione di una Confederazione di Stati italiani nella quale avrebbe dovuto entrare a fare parte anche la Venezia (pur restando sotto gli Asburgo), di nuovo i Comuni istriani tornarono sulla questione dei confini doganali, chiedendo in una nuova petizione l’unione dell’Istria col Veneto, accampando interessi generali e soprattutto economici. (Visualizza doc.9).
La lettera sottoscritta dai Sindaci istriani, il cui invio fu ostacolata dalle autorità governative, venne poi inoltrata a Vienna e rimase senza risposta.
Durante la guerra si mobilitarono anche i popolani dell’Istria che, nonostante la loro povertà, parteciparono con mille franchi alla sottoscrizione nazionale per l’acquisto di fucili proclamata da Giuseppe Garibaldi e le donne istriane, insieme a quelle del Friuli, offrirono in dono ai battaglioni 37° e 38* della brigata Ravenna due vessilli da loro mirabilmente lavorati (marzo 1860).

L'Italia dopo Villafranca. Nizza e Savoia furono cedute alla francia, ma il Regno di Sardegna acquistò la Lombardia, la Toscana e l'Emilia Romagna.
L'Italia dopo Villafranca. Nizza e Savoia furono cedute alla francia, ma il Regno di Sardegna acquistò la Lombardia, la Toscana e l'Emilia Romagna.

Dopo la delusione per il voltafaccia di Napoleone III, molti volontari istriani continuarono a combattere nella penisola italiana seguendo Garibaldi nelle sue imprese in Sicilia, a Gaeta e parteciparono alle campagne nelle Marche e in Umbria, che portarono ai plebisciti, all’annessione del resto dell’Italia meridionale e centrale
(escluso il Lazio) ed alla proclamazione dell’Unità d’Italia (17 marzo 1861).
Il 9 maggio del 1861 fu mandato a Torino da parte del Comitato Centrale Veneto un corposo opuscolo (memoriale) al Senato a alla Camera dei deputati intitolato “Trieste e l’Istria e loro ragioni sulla questione italiana”. Con esso si richiedeva che i suddetti territori facessero parte integrante della patria comune, giacché “la natura, la storia, la nazionalità, gli interessi commerciali, le ragioni geografiche, militari e politiche e il generale sentimento italiano del popolo, manifestato anche testé dalle legali rappresentanze di Trieste e dell’Istria, concorrono a consacrare il diritto di questa estrema regione dell’Istria orientale di non restare esclusa dall’italiana famiglia, che sotto lo scettro costituzionale di Vittorio Emanuele felicemente risorge ora a nazione.”
Intanto nell’Impero asburgico si ebbe la ripresa del processo di modernizzazione e il Litorale divenne una organizzazione territoriale autonoma, con due organi elettivi, uno per Trieste e uno per Gorizia e l’Istria, Scomparso il Regno d’Illiria, l’Istria fu trasformata in margraviato.

Il Margraviato d’Istria (la capretta era l’antico simbolo araldico dell’Istria) dipendente direttamente dall’Imperatore d’Austria, confinava con i Regni di Croazia e Slavonia appartenenti alla Corona Ungherese. La toponomastica delle cittadine istriane rimaneva invariata (in italiano).
Il Margraviato d’Istria (la capretta era l’antico simbolo araldico dell’Istria) dipendente direttamente dall’Imperatore d’Austria, confinava con i Regni di Croazia e Slavonia appartenenti alla Corona Ungherese. La toponomastica delle cittadine istriane rimaneva invariata (in italiano).

Vennero istituite inoltre in tutto l’Impero le Diete provinciali (parlamenti locali) che avrebbero dovuto inviare deputati alla Camera di Vienna (Consiglio dell’Impero).
La Dieta per l’Istria doveva aver luogo a Parenzo, presieduta dal Capitano provinciale marchese Giampaolo Polesini.
In quell’occasione il comitato patriottico segreto, capeggiato dallo studioso capodistriano Carlo Combi, che aveva contatti con il comitato centrale veneto di Milano tramite Tommaso Luciani, dopo aver chiesto suggerimenti sul comportamento da seguire in quel delicato frangente, decise concordemente con i “cugini” veneti che i rappresentanti della Dieta di Parenzo avrebbero espresso il loro sentimento separatista e antiaustriaco, rifiutandosi di eleggere i due deputati al Consiglio dell’Impero. Dopo essersi riuniti la sera precedente il voto nell’aprile del 1861 in casa del membro della Giunta provinciale Giuseppe de Vergottini (che propose un solenne giuramento) essi espressero il loro rifiuto, non servendosi di schede bianche, ma scrivendo “Nessuno” sulle schede stesse.
Nonostante l’ intervento del Luogotenente del Litorale Barone Burger accorso di persona a Parenzo, anche le successive votazioni ebbero esito negativo e la Dieta istriana venne dichiarata disciolta. L’episodio divenne noto come la “Dieta del Nessuno”

Tommaso Luciani (l'ultimo a destra, seduto) a Milano insieme ad altri patrioti
Tommaso Luciani (l'ultimo a destra, seduto) a Milano insieme ad altri patrioti

(Nella seconda Dieta, istituita nel settembre dello stesso anno, in cui gli irredentisti scelsero la strada dell’astensione ai lavori, risultarono poi eletti come rappresentanti istriani a Vienna, il tedesco Luogotenente del Litorale Burger e il vescovo croato mons. Dobrila).

Cartolina commemorativa con i nomi e le immagini dei deputati della Dieta del 1861
Cartolina commemorativa con i nomi e le immagini dei deputati della Dieta del 1861

Nel 1863 fu coniata dal glottologo goriziano Graziadio Ascoli per il territorio di Istria, Trieste e Gorizia, l’espressione “Venezia Giulia”, in contrapposizione a quella ufficiale di “Litorale Austriaco”. Il termine, che faceva riferimento al glorioso passato e ai miti risorgimentali di Roma e di Venezia, ebbe in seguito molto fortuna presso i patrioti mentre venne osteggiata dall’Austria.

L’Ascoli, in suo articoletto “Le tre Venezie” (Venezia Euganea, Venezia Giulia e Venezia Tridentina) apparso sul giornale “L’alleanza”, giustificava la nuova espressione con precise ragioni storiche e culturali richiamandosi alla gens Iulia, nelle figure di Giulio Cesare e dell’imperatore Ottaviano Augusto (che aveva riorganizzato l’Italia in regioni, fra le quali era annoverata anche la “X Regio Venetia et Histria”) e alla Repubblica di Venezia, che aveva influenzato per secoli non solo l’Istria ma anche le vicine città di Trieste e di Gorizia.
Poiché i patrioti non potevano agire alla luce del sole per il costante controllo poliziesco delle autorità austriache e il sentimento nazionale non si poteva esternare in pubblico, esso si manifestava con la partecipazione popolare agli avvenimenti festosi o luttuosi (come la sottoscrizione popolare per il monumento funebre a Cavour) che interessavano il Regno d’Italia.

Grande fu l’entusiasmo per la celebrazione del VI centenario della nascita di Dante il 14 maggio 1865, che si celebrò a Trieste e in molte città istriane, fra mille sospetti delle autorità austriache. A Firenze, allo scoprimento del monumento eretto al Poeta a Santa Croce, fra le bandiere di tutta Italia fu presente anche quella dell’Istria, inalberata dal marchese Giuseppe Gravisi di Capodistria e dal barone Lazzarini di Albona.

In quel giorno, gli Istriani mandarono un saluto a Firenze. Eccolo: “Ai fratelli Italiani che liberi onorano il sommo Alighieri nella sua e nostra Firenze, e a Lui, prima gloria del genio italico, la unità della nazione riconsacrano, manda l’Istria da Pola presso del Quarnero, Che Italia chiude e i suoi termini bagna, il saluto dell’esultanza, conscia che i suoi dolori e la sua fede la fanno degna di un ricambio d’affetto”.

( “Sì come a Pola, presso del Quarnaro, Che Italia chiude e i suoi termini bagna” sono versi della Divina Commedia, tratti dal Canto IX, 112-114 dell’ Inferno).

Firenze 1865. Piazza S. Croce. Celebrazione del sesto centenario della nascita di Dante.
Firenze 1865. Piazza S. Croce. Celebrazione del sesto centenario della nascita di Dante.

Nel 1866, nell’imminenza della terza guerra dì indipendenza italiana, a cui, come al solito parteciparono volontari della Venezia Giulia, il Governo austriaco prese misure precauzionali in Istria, invitando ad abbandonare il paese con decreti di allontanamento, personalità sospette, come denunciato da Tomaso Luciani al giornale “La Nazione “ di Firenze: “L’Austria usa largamente dei diritti che le dà la sospensione della libertà personale e lo stato d’assedio. Da ogni luogo principale e dai secondari perfino manda a domicilio coatto ed in bando distinti cittadini, senza riguardo ad età, a circostanze familiari o di professione, o a stato di salute perfino. La legge del sospetto è in pieno trionfo….”.
Fra costoro c’erano il già citato Giuseppe de Vergottini e il capodistriano Carlo Combi, abilissimo promotore e organizzatore del movimento clandestino unitario, autore di numerosi scritti storici (“Prodromi alla storia dell’Istria”) e politici (come la famosa strenna “La porta orientale” e La frontiera orientale d’Italia e la sua importanza”).
In seguito all’esito infausto della guerra, dopo le sconfitte a Custoza e nella battaglia navale di Lissa, quando svanirono le speranze di uno sbarco italiano in Adriatico e le illusioni di una aggregazione dell’Istria al Regno d’Italia, lo studioso pubblicò il suo ”Appello degli istriani all’Italia” (visualizza doc.10), vero e proprio compendio dei suoi precedenti saggi. In esso viene ribadita la necessità dell’appartenenza dell’Istria al Regno d’Italia per combattere “le pretese della forza col diritto dei popoli” con argomentazioni di carattere storico, culturale, geografico e politico-militari. Eccole in sintesi:
Le Alpi Giulie e non il “fiumicello” Isonzo, imposto dall’Austria, rappresentano il confine orientale naturale d’Italia, nonché la frontiera strategica per sbarrare la via d’accesso alla penisola italiana. Inoltre è essenziale il possesso dell’Istria (con il porto di Pola) per contrastare sia il dominio austriaco in Adriatico, sia le mire della Slavia “la quale è sveglia anch’essa e balda di giovanili spiriti va incontro all’avvenire”.
Quanto agli slavi dell’Istria, “di venti o più stirpi”, pacificamente importativi dai dominatori per popolare le terre disertate dalle guerre e dalle pestilenza, sono “stranieri fra loro fino a non intendersi e stranieri agli Slavi d’oltralpe….” Rappresentano popolazioni che “vissero e vivono senza storia, senza memoria, senza istituzioni…“.
L’Istria invece è parte della nazione italiana, sia per ragioni storiche (era regione d’Italia fin dal tempo dei romani) che culturali perché “non sorge un villaggio in cui si agiti un po’ di vita civile il quale non sia prettamente italiano. Il carattere nazionale è spiccatissimo in ogni sua esteriore manifestazione” segue l’enumerazione di costumi, tradizioni, architettura, pittura, letteratura, istituzioni legislative (fin dagli Statuti comunali del Duecento) e dei “bellissimi nomi fra i migliori ingegni d’Italia”, per concludere che “la civiltà dunque è tutta nostra”.
Infine, per l’Istria, essere sottratta al tentativo dell’Austria di spegnere la sua italianità è questione di vita o di morte. E la causa dell’Istria “è causa anch’essa, e non ultima, d’Italia”.
Dopo questo suo scritto, Carlo Combi non poté più rientrare nella sua amata terra e rimase esule per tutta la vita. Alla sua morte, avvenuta nel 1884, le autorità austriache proibirono perfino che le sue esequie fossero celebrate nel duomo di Capodistria.

Carlo Combi (esule a Venezia come Tomaso Luciani)
Carlo Combi (esule a Venezia come Tomaso Luciani)

Nel 1866, dopo l’avvenuta cessione del Veneto al Regno d’Italia (tramite Napoleone III) l’Austria attuò un giro di vite contro il partito italiano nelle sue province. Al Consiglio interministeriale asburgico del 12 novembre venne ordinato per espressa volontà di S. M. l’Imperatore che “si agisca in modo deciso contro l’influenza degli elementi italiani ancora presenti in alcune regioni della Corona e, occupando opportunamente i posti degli impiegati pubblici, giudiziari, dei maestri, come pure con l’influenza della stampa, si operi nel Tirolo del Sud, in Dalmazia e sul Litorale per la germanizzazione e la slavizzazione di detti territori a seconda delle circostanze, con energia e senza riguardo alcuno”.
Opera di snazionalizzazione si cercò di attuare anche in campo culturale interrompendo, ad esempio, la consuetudine plurisecolare degli studenti istriani e dalmati di frequentare l’Università di Padova. Da una certa data non fu più riconosciuto il valore legale della laurea patavina ed essi furono costretti a continuare gli studi a Graz o a Vienna.
Fra gli istriani illustri che nel corso dei secoli precedenti avevano frequentato lo Studio di Padova ricordiamo il beato di Capodistria Antonio Martissa che si addottorò in teologia nel 1473, gli umanisti Pier Paolo Vergerio il Vecchio e Pier Paolo Vergerio il Giovane, lo scienziato Santorio Santorio, amico di Galilei, che a Padova insegnò medicina teoretica, e ancora l’illuminista Gian Rinaldo Carli e il violinista e compositore di Pirano Giuseppe Tartini.
Non ebbe particolari ripercussioni sui territori adriatici, la riforma del 1867 che trasformò l’Impero d’Austria in duplice “imperiale e regia” Monarchia austro-ungarica, riconoscendo l’esistenza di due Regni distinti sotto un unico sovrano che era Imperatore d’Austria e Re d’Ungheria (Kaiserclich und Königlich Monarchie).
L’Istria rimase soggetta all’Imperatore dì Austria (margraviato d’Istria), come pure la Dalmazia (Regno di Dalmazia); ambedue rimasero staccate dal Regno di Croazia, che invece faceva parte del territorio sotto amministrazione ungherese.
Fiume, dopo un ventennio di occupazione croata (1848-1868) tornò ad essere corpus separatum della Corona Ungherese, riacquistando una certa autonomia municipale e antichi privilegi, come quello dell’uso ufficiale della lingua italiana.

Carta Ungherese di Istria, Fiume e Dalmazia (Si noti che Gorizia ( Görz) e Trieste ( Triest) sono scritte come al solito in tedesco, mentre le città istriane e dalmate, come pure Fiume e le isole del Quarnero e della Dalmazia, sono in italiano. Le regioni, cioè Isztria e Dalmácia, sono riportate nella grafia magiara).
Carta Ungherese di Istria, Fiume e Dalmazia (Si noti che Gorizia ( Görz) e Trieste ( Triest) sono scritte come al solito in tedesco, mentre le città istriane e dalmate, come pure Fiume e le isole del Quarnero e della Dalmazia, sono in italiano. Le regioni, cioè Isztria e Dalmácia, sono riportate nella grafia magiara).

Nella penisola italiana, raggiunto l’obiettivo della conquista del Veneto e di Roma, proclamata capitale nel 1870, sembrò esaurirsi quella spinta risorgimentale che aveva portato alle guerre di indipendenza. L’Unità si considerò già conseguita, nonostante rimanessero fuori dai confini nazionali il Trentino e la Venezia Giulia.
L’Istria si ritrovò abbandonata a se stessa. Nacque allora una diversa fase di irredentismo che si nutrì di cultura e simboli patriottici più che di azione militante e che, accanto al carattere antiaustriaco ne assunse anche uno nuovo, quello antislavo. Infatti, in seguito alla nascita del sentimento nazionale degli Slavi del sud, apertamente appoggiati dalla politica governativa asburgica, la popolazione slovena e croata dell’Istria venne ormai avvertita come un “nemico” da contrastare.