Negazionismo e partitismo. Due nemici della verità fattuale

Una riflessione sopra una argomento spinoso e frastagliato come quello delle “foibe” meriterebbe un raffreddamento dell’animo precedente e propedeutico a essa, in modo da rendere le sue conclusioni atarassiche.

L’appropriazione talvolta indebita che il magma politico compie nei confronti dell’argomento, tuttavia, si interpone come ostacolo al raggiungimento di conclusioni nelle suddette modalità. L’agitazione del gonfalone “foibe”, come anche il suo sotterramento, sembra a un occhio pagano rispetto alle terminologie elettorali un mezzo o uno strumento per legittimare o per converso delegittimare in senso politico, più che un fine volto al guadagno della verità e alla condivisione della memoria.

La certamente maggiore accessibilità al largo pubblico del linguaggio politico pare un ulteriore ostacolo, poichè esso, basandosi sulla contrapposizione di opinioni che sfocia in assoluto rigetto della controparte e della naturale medietas – la quale sovente offre soluzioni poco “politicizzabili”, proprio perchè non assolute, ma per questo più ponderate – cristallizza le interpretazioni dei fenomeni storici e le inserisce come documenti nell’archivio delle personali preferenze politiche.

Una delle conseguenze di questo processo, forse la più conosciuta, è la correlazione foibe-fascismo, che da solo cronologica viene mutata in nesso causale e quindi giustificabile, spesso presente nell’animo di chi conserva nel proprio archivio di preferenze una maggioranza di documenti legati ai valori dell’antifascismo.

Coloro i quali prediligono valori diversi da questi ultimi – opposti, o meno – sovente mirano al raggiungimento tramite la tematica “foibe” di un privilegio di memoria per legittimarsi davanti alla controparte: una memoria che, proprio in quanto privilegiata, non può aspirare a diventare pienamente condivisa. Una tragedia disumana come quella in oggetto, per diventare effettivamente un patrimonio italiano e non essere più colpita da negazionismi, necessiterebbe di un iniziale distacco dal vocabolario elettorale e dalla sua assolutezza per ritrovare una serenità di giudizio. Un possibile rischio di ciò, purtroppo, è l’abbassamento della soglia di rumore prodotta dalla chiusura della cassa di risonanza che la politica offre, ma la forza nei decenni dimostrata e non persa del popolo istriano, giuliano e dalmata difficilmente temerebbe un periodo di proficua riflessione volta a diventare alétheia e a rinverdire la memoria degli italiani.

Analizzando la fraseologia politica in riferimento alle foibe si può chiarire più a fondo il problemaQuando si agita difatti il tema a proprio vantaggio, solitamente si associa immediatamente il termine “comunista” alle violenze jugoslave, alimentando così la risposta negazionista che, vedendo il tema traslato sullo scontro politico, mantiene il linguaggio assoluto dello scontro stesso proponendo la soluzione “giustificazionista”. Ma tali violenze, come già da tempo ha sottolineato la più aggiornata storiografia, solo inizialmente furono rivolte all’elemento fascista, il quale fu invece fra i primi a raggiungere la salvezza proprio perché solo occupante e non indigeno. Le successive rappresaglie, riprendendo strali e lacerazioni etniche già presenti nella polveriera adriatica nell’Ottocento e nella prima parte del Novecento, si rivolsero indistintamente all’elemento italiano, anche se antifascista. Le violenze, dunque, anche se operate da attori comunisti, ebbero nel comunismo una motivazione molto più marginale che nella contrapposizione etnica antecedente ai massacri. Che l’esercito di Tito in quel momento avesse abbracciato una siffatta matrice politica, almeno in riferimento alle foibe, rimane una sussidiarietà rispetto alla volontà jugoslava di livellamento etnico che rimase sempre a monte.

Per questa ragione, enfatizzando primariamente e con più forza la caratterizzazione “comunista” dei massacri rispetto a quella etnica, si trasla il discorso sullo scontro politico “fascismo-comunismo” tutt’ora vitale; scontro che, oltrepassando – o comunque mantenendo sullo sfondo – il piano storiografico si delinea come principale combustibile delle interpretazioni negazioniste.

Inoltre, l’associazione “anti-italiano e comunismo” crea un salto categoriale che confonde e disorienta, poiché la prima categoria si prospetta come la motivazione più plausibile e accettabile del fenomeno rispetto alla seconda. Quest’ultima, infatti, assume valore interpretativo solo perché nel periodo bellico fosse opposta a ciò che in quel momento si presentava come italiano, e  in qualsiasi altro periodo l’elemento jugoslavo avrebbe comunque assunto un atteggiamento contrapponibile a quello italofono.
Le vittime delle foibe furono infatti anche vittime del fascismo, il quale, esasperando condizioni già da tempo presenti – e quindi, si deve comunque specificare, che esso non ha creato – ha fornito alle violenze jugoslave un retroterra politico accettabile per dissimulare le reali motivazioni etniche.
Accentuando la natura politica dell’argomento “foibe”, quindi, si consente la perpretazione di quel retroterra che è oggi alla base del negazionismo.

Francesco Palazzo, 10 febbraio 2018