14 luglio 1902, crolla il Campanile di San Marco

Il fervido clima artistico e culturale instauratosi a Venezia tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, favorendo la presenza in città di una personalità di spicco come John Ruskin, che concorse all’elaborazione di una nuova concezione del restauro conservativo, contribuì all’affermazione di un’intera generazione di architetti, capimastri e restauratori che, imitando o avversando, a seconda dei casi, i suoi precetti e suggerimenti, scelsero di applicarli, o di affrancarsene totalmente. Tra i capimastri che operarono in tale contesto, assunse un ruolo di prim’ordine Luigi Vendrasco, figura indissolubilmente legata alla vicenda del Campanile, considerata finora minore nella storiografia veneziana.

Egli lavorò ininterrottamente, per oltre settant’anni, sui principali monumenti di Venezia. Giunto nel capoluogo lagunare da San Zenone degli Ezzelini (Treviso) per svolgere l’attività di falegname nei pressi di San Zaccaria, partecipò come volontario ai moti veneziani del 1848, conseguendo il grado di tenente e aiutante di campo di Cavedalis; si trasferì poi a Padova per un breve periodo, città da cui fu bandito nel 1859 perché – secondo quanto riferito dallo stesso Vendrasco – avrebbe voluto imporre al figlio il nome di Vittorio Italia Libera (si tratta del figlio Giovanni Antonio), e partecipò, subito dopo, attivamente alla Seconda Guerra di Indipendenza, combattendo in Piemonte.

A Padova ritornò nel 1867 per lavorare al restauro delle cupole del Santo come capomastro sorvegliante, per stabilirsi nuovamente a Venezia dopo il 1871. Qui, nel 1878, in onore degli eccellenti trascorsi professionali, venne assunto, su incarico dell’ingegnere Annibale Forcellini in accordo con l’Ingegnere Capo del Genio Civile Giovanni Ponti, per coordinare i grandi lavori di restauro di Palazzo Ducale (1875-1890), in veste di aiutante esterno del Genio Civile.

Agli anni 1891-1893 risale il restauro delle colonne e delle statue di Piazzetta San Marco.

Luigi Vendrasco e il figlio Giovanni Antonio si erano specializzati in progettazione e messa in stabilità di campanili e nella realizzazione dei relativi ponteggi. Vendrasco contribuì quindi in modo decisivo alla progettazione e alla posa in opera delle impalcature necessarie per i lavori di restauro di Palazzo Ducale, allorché fu necessario sostituire gran parte delle strutture architettoniche portanti (si vedano i 42 capitelli ora conservati al Museo dell’Opera di Palazzo Ducale), inoltre riuscì a raddrizzare le colonne di Piazzetta San Marco dopo quasi quattro secoli di inclinazione, con un sistema semplice quanto mai geniale, riproponendo l’impresa che il solo Nicolò Barattiero fu in grado di compiere.

L’attività del capomastro – coadiuvato incessantemente dall’inseparabile figlio, valido ed esperto geometra nonché brillante divulgatore (pubblicherà diverse monografie, articoli e recensioni in materia di conservazione e restauro monumentale) –, subisce una battuta d’arresto a seguito dell’istituzione degli Uffici Regionali per la Conservazione dei Monumenti (le attuali Soprintendenze) nel 1891, per opera dell’allora Ministro della Pubblica Istruzione Pasquale Villari. I due intendenti d’arte, fino a quel momento operanti sotto l’egida del Genio Civile, si vedono d’un tratto assorbiti nella nuova struttura, sottoposti alla direzione del nuovo soprintendente di nomina governativa, Federico Berchet. Con il trascorrere degli anni la gestione Berchet, alquanto opinabile nelle modalità di attuazione, verrà fortemente contrastata non solo dai Vendrasco, ma da buona parte dell’élite intellettuale veneziana; a Berchet viene in sostanza attribuita scarsa competenza e rimproverata una certa inettitudine nella conduzione dei lavori di restauro dei locali interni di Palazzo Ducale. Nel 1898, nello specifico, un articolo scritto da Giovanni Antonio sulla “Gazzetta degli Artisti”, a difesa della linea di condotta assunta dal padre e, per contro, avversa a quella di Berchet, verrà da questi impugnato per intentare un processo di diffamazione contro Luigi Vendrasco. Al termine del processo, pur venendogli unanimemente riconosciute onestà e competenza professionale, Vendrasco verrà destituito dall’incarico con delle modalità che anticipano di oltre un secolo ciò che oggi definiamo “reato di mobbing” (intimandogli un trasferimento all’Ufficio Regionale di Cagliari a cui, ovviamente, e specie alla veneranda età di 77 anni, non può adempiere).

Alla destituzione seguono anni di umiliazioni professionali, di difficili condizioni economiche, a cui si aggiunge la morte della consorte, avvenuta nel 1901.

Ma Luigi Vendrasco non demorde; insiste nella sua battaglia, ormai personale, condotta in nome dell’arte e della bellezza, denunciando l’incompetenza e l’inavvedutezza nella conduzione di alcuni lavori di consolidamento e restauro. Se già nel 1892 era intervenuto duramente contro la proposta di collocare un ascensore all’interno del Campanile di San Marco, scongiurandone di fatto la realizzazione, nel 1898 richiama nuovamente l’attenzione delle autorità preposte, contestando i lavori che la Procuratia di San Marco di concerto con l’Ufficio Regionale stanno eseguendo sulla pericolante torre marciana. Tra i numerosi reclami, segnalazioni e lettere di sollecitazione che si preoccupa di inoltrare in quegli anni – solo credente tra una moltitudine di infedeli – spiccano quelli inviati alla regina Margherita e alla regina Vittoria (quest’ultima segnalazione in particolare, gli varrà il richiamo del Ministro in persona, che gli ricorderà di essere italiano, prima che inglese).

L’ultimo tentativo dell’anziano capomastro per evitare la catastrofe sarà quello di prevedere con netto anticipo, e un’attendibilità che ha dell’incredibile, le modalità del futuro crollo del Campanile.

Ciò nonostante, come ben conosciamo, la tragedia non verrà evitata, e le vicende successive alla caduta del 14 luglio 1902 sono ormai note.

“In questi ultimi giorni il Vendrasco era inquieto, inconsolabile. Vedeva che la rovina del Campanile si avvicinava a passi giganteschi; vedeva che nulla di serio si faceva per salvarlo; e gli girava attorno colle lagrime agli occhi”, scriverà Ottone Brentari sul “Corriere della Sera” pochi giorni dopo la caduta.

Lunedì 14, alle quattro del mattino si reca in piazza, sale sulla balaustra della Basilica e, rivolgendo il binocolo verso “il gigante moribondo”, esclama scuotendo il capo: “È finita!”. Scende, e con la tristezza nel cuore, si reca a casa da dove rivolge l’ultimo saluto al Campanile, e alla sua Venezia che ha già deciso di lasciare. Lascia per iscritto: “Il campanile può avere, al massimo, qualche ora di vita; ma potrebbe anche precipitare fra un’ora”.

Meno nota invece è la manifestazione di affetto e solidarietà che Vendrasco riceve dal popolo veneziano subito dopo l’evento: una moltitudine di persone si reca sotto la sua abitazione a San Zulian e gli tributa un plauso festante, riconoscendogli il merito e l’esattezza delle previsioni fatte, senza sapere tuttavia che il vegliardo, in preda allo sconforto e alla delusione di non aver potuto evitare la caduta del Paron de Casa, era fuggito in campagna (a Dolo), dove terminerà i suoi giorni. Lo stesso Ministro Nunzio Nasi, in visita a Venezia nei giorni successivi per istituire una commissione d’inchiesta per accertare le cause e le responsabilità inerenti al crollo, vorrà incontrare Vendrasco, dopo essere stato avvicinato in Piazza San Marco da un signore che gli grida in viso a squarciagola: “Viva Vendrasco!”.

L’ “eco di Vendrasco” inizia quindi a propagarsi al di fuori del confine veneto: il “Corriere della Sera” ne pubblicherà un intervista decretandolo “uomo del giorno”, “Il Piccolo” di Trieste gli intitolerà un articolo, definendolo “profeta della catastrofe”.

Alle elezioni amministrative parziali del luglio 1902 l’ottuagenario capomastro, candidatosi nelle file dei democratici, consoliderà la notorietà del momento con ben 5741 voti contro i 6602 ottenuti dal Sindaco Filippo Grimani.

La caduta del Campanile ingenera tra i Veneziani una sorta di “panico da crollo” .

Tutto ciò che è pericolante (o che viene interpretato come tale) viene visto come un rischio da evitare con urgenza; alle pubbliche autorità iniziano a pervenire, da ogni parte di Venezia, richieste di demolizioni (per gran parte immotivate e non suffragate da un effettivo pericolo di crollo) riguardanti sia edifici pubblici che privati. Sono soprattutto i campanili pendenti della città a essere presi di mira e, tra questi, il maggiore per interesse storico-artistico, quello di Santo Stefano.

Determinante per la salvaguardia del monumento sarà, ancora una volta, l’intervento di Vendrasco, allorché il Prefetto ne aveva già disposto la demolizione controllata. Interpellato dal parroco di Santo Stefano monsignor Francesco Paganuzzi, Luigi Vendrasco gli risponde con una lettera appassionata, contenente una serie di indicazioni e suggerimenti preziosi, con la quale consiglia di procedere con meno avventatezza e di valutare con maggiore attenzione le reali condizioni del monumento.

Il suo consiglio eviterà l’abbattimento di uno dei più bei monumenti della città.

L’ultima parte del libro esamina gli ultimi anni di Vendrasco, il rinvenimento della sepoltura, e la scoperta di nuovo materiale inedito proveniente da un nipote della domestica di casa Vendrasco, che permetterà di ricostruire gloria e vicissitudini dell’intera famiglia. Il ramo genealogico si estinguerà con la morte della nipote Luigia (figlia di Giovanni Antonio), nel 1926.

Coronano il racconto una serie di piante e progetti illustrativi, quattro schede di approfondimento, l’albero genealogico di Luigi Vendrasco (a partire dalla seconda metà del Settecento), oltre alla riproduzione nelle Appendici di alcuni tra i più importanti documenti citati.

Paolo Voltolina
Fonte: El Paron de Casa – 14/07/2023