A. Ara, «Fra Nazione e Impero»

Scritto da Carlo Ghisalberti
lunedì 03 maggio 2010
A. Ara, Fra Nazione e Impero; Trieste, gli Asburgo, la Mitteleuropa, prefazione di C. Magris, Milano, Garzanti, 2009, pp. 792.

Triestino di nascita e profondamente legato al complesso e variegato mondo nel quale era inserita la sua città, Angelo Ara ci ha offerto anche con i suoi molteplici studi, ora raccolti in questo volume dedicato ad aspetti e problemi delle storie triestina, austriaca e, più in generale, mitteleuropea, non soltanto uno strumento prezioso per la loro migliore conoscenza ma anche una chiave per intendere il senso profondo di quella che non a torto può definirsi l’identità di frontiera. Era un’identità propria di varie generazioni degli abitanti delle terre italiane degli Asburgo che dopo la fatale dissoluzione dell’Austria-Ungheria e gli eventi successivi parve in qualche misura offuscarsi o dissolversi nel trionfo delle ideologie nazionaliste apportatrici ben presto di molti lutti e di tante sofferenze.

Angelo Ara in questi suoi scritti, pur comprendendo il significato dei sentimenti nazionali, delle aspirazioni indipendentistiche e degli ideali patriottici dei diversi popoli viventi entro i confini dell’Impero d’Austria ha mostrato di rendersi conto della peculiarità della loro integrazione in esso ed insieme del vincolo che li aveva mantenuti tradizionalmente legati alla corona asburgica. Non a caso il titolo stesso della raccolta dei suoi scritti, Fra nazione ed Impero, contribuisce a dare il senso della complessità del mondo mitteleuropeo e delle differenze etniche e politiche che caratterizzavano il suo essere plurinazionale e che soltanto alla fine della prima guerra mondiale riuscirono, nella tragedia che sconvolse l’intero antico continente, a minarne e distruggerne la plurisecolare unità.

Di questa complessità e di questi contrasti le vicende della sua Trieste, della Venezia Tridentina e della Giulia, nella particolarità del loro manifestarsi, sono apparse ad Ara giustamente emblematiche. L’influenza del Risorgimento italiano e dell’unificazione della penisola, il conservatorismo della Restaurazione, i difficili rapporti tra l’Austria da Metternich al dualismo e l’Italia, la nascita dell’irredentismo di qua e di là dai confini del 1866, la partecipazione spesso non soltanto emotiva di tanti intellettuali all’interventismo ed infine l’esaltazione per la conseguita “redenzione” di quelle che erano state le province italiane dell’Austria, sono affrontati da lui con estrema obiettività e massimo rigore. Un’obiettività ed un rigore che non gli impediscono di valutarne luci ed ombre, di rilevarne gli aspetti positivi e di individuare anche quelli che nel loro inverarsi sono stati forieri di conseguenze, come l’esperienza ci ha mostrato, non egualmente positive. Lo si vide nella privazione imposta alle popolazioni slovene e croate della Venezia Giulia ed a quella tedesca dell’Alto Adige di tutta quella parte del loro passato, fatto di lingua, di storia e di cultura che, come ha sottolineato Ara. “non rientrava nel mito dell’assoluta, secolare e intangibile italianità delle loro terre”.

Sono un obiettività ed un rigore che non lo hanno mai portato a farsi acritico nostalgico di un mondo di ieri, perché Ara sapeva bene che il Welt von Gestern, forse troppo spesso esaltato da quanti lo hanno mitizzato, era finito con la prima guerra mondiale e con il suo convulso, spesso tragico dopoguerra. Lo sguardo col quale si è volto ad esso e con cui, da ottimo storico, ha cercato con la passione e l’amore caratterizzanti il suo impegno di interpretarlo e comprenderlo, riflette l’animo di chi ben sapeva di scrivere intorno a cose belle e morte.

Non era soltanto, però, il concluso passato mitteleuropeo ad attrarre la sua attenzione di storico. Infatti egli ha continuato a studiare le vicende dell’Austria dopo il tramonto della monarchia asburgica e l’avvento della repubblica, indagando anche sui mutamenti della politica estera italiana nei confronti di Vienna negli anni che precedettero l’Anschluss e la seconda guerra mondiale. Era una condotta diplomatica che non poca responsabilità ha avuto non solo sul destino dei due popoli ma delle genti di tutta l’Europa, ancora una volta travolte da un conflitto più drammatico nelle sue conseguenze di quello che più di un ventennio prima l’aveva preceduto e che aveva posto fine all’impero mitteleuropeo nella cui sopranazionalità erano vissuti tanti italiani. Questi non potevano immaginare allora le atrocità delle quali si sarebbero macchiati i totalitarismi e la brutalità dell’antisemitismo razzista che avrebbe contribuito a cancellare nel sangue con gli ebrei una delle componenti essenziali del mondo plurinazionale che aveva a Trieste, a Budapest. a Praga, a Cracovia ed a Zagabria i suoi centri i più vitali. Era una componente che della civiltà mitteleuropea costituiva un elemento essenziale ed alla quale aveva dato lo straordinario apporto della sua attività e della sua cultura.

A quelli che Ara rettamente ha definito austro-italiani, al loro vivere per lo più pacificamente sotto gli Asburgo, abitando nel Trentino e lungo la costa adriatica, ed alla loro condizione durante il conflitto che li vide variamente coinvolti in quella tragedia collettiva che ci può oggi apparire come una sorta di tristissima guerra civile europea, sono dedicate molte pagine del volume. In esse l’autore sottolinea la varietà delle condizioni in cui quegli italiani si trovarono. Circa duemila di essi che avevano passato, animati da spirito irredentistico, il confine prima del 24 maggio del 1915 indossarono volontariamente il grigioverde del regio esercito partecipando a quella che a molti appariva l’ultima guerra del Risorgimento e sacrificando anche la propria vita sui campi di battaglia del Carso e del Trentino. Moltissimi invece, cd erano la grande maggioranza calcolabile a decine di migliaia, che per fedeltà al potere, per timore di sanzioni o per spirito di obbedienza alle leggi, risposero alla chiamata alle armi di Vienna rivestendo il feldgrau delle armate imperial-regie furono inviati a combattere ed a cadere sui campi della Galizia, della Macedonia e della Romania. Inoltre la popolazione civile di quelle province, ed in specie quella trentina, fu duramente colpita da trasferimenti forzati, deportazioni ed internamenti, misure queste che finirono con l’incrementare i sentimenti irredentistici originariamente propri soltanto di una minoranza diffondendoli tra tanti che fino allora, indifferenti alle idealità nazionalistiche avevano sofferto per le conseguenze e le privazioni di una guerra della quale sognavano soprattutto la fine.

Appaiono fortemente significativi gli accenni di Ara alla memoria della Grande Guerra nelle popolazioni della frontiera austro-italiana che la vissero drammaticamente e che ne conservarono un indelebile ricordo. Quella memoria ha stentato lungamente ad essere condivisa perché l’ostilità generata dal conflitto, come viene sottolineato nelle pagine del libro, parve prolungarsi nella sua irrazionalità in un infinito dopoguerra che soltanto ora sembra consentire di rendere l’eguale onore di pianto ai caduti dei vincitori e dei vinti, troppo a lungo riservato solo a coloro che erano schierati nelle file dei primi. Avvincente è pure la ricostruzione della figura emblematica di Giani Stuparich, per usare la definizione di Renate Lunzer “un irredento redento”, che seppe guardare ai rapporti tra l’Italia, l’Austria e la Slavia negli anni che videro le dissoluzione dellì’Austria-Ungheria ed il diffondersi di un nazionalismo foriero di tante sventure.

Particolarmente significativa si rivela la sua attenzione agli studiosi che, come Ernesto Sestan, l’autore della più completa ed obiettiva storia della Venezia Giulia scritta mentre si consumava il suo distacco dall’Italia, o come Adam Wandruska, l’indimenticabile storico degli Asburgo, protagonisti di tante vicende che coinvolsero sia l’Austria che l’Italia o anche come Leo Valiani, il fiumano da Ara rettamente definito l’uomo e lo storico della Mitteleuropa, ed infine come il più giovane Heinrich Lutz, l’intellettuale bavarese che rappresenta la testimonianza della generazione formatasi nella seconda guerra mondiale della quale hanno percepito l’orrore e la follia. Sono profili di personaggi che rappresentano il necessario completamento della profonda meditazione compiuta da Angelo Ara sul mondo che fu e su taluni di coloro che, professando il métier d’historien maggiormente cercarono di comprenderlo nella sua complessa realtà.

Un mondo ed una realtà finiti, ai quali è andato però il pensiero dell’autore nello sforzo di recuperarne l’eredità storica di cui egli, consapevole di essere un uomo della frontiera aperto senza pregiudizio alcuno al dialogo, ha saputo cogliere il grande valore ed il profondo significato.