L’Italia sta cedendo quote d’influenza nelle aree prioritarie per gli interessi nazionali

di Ugo Trojano – 30/06/2020 – Fonte: Analisi Difesa

La tendenza verso un’accentuata irrilevanza internazionale dell’Italia, segnalata più volte su Analisi Difesa, ha assunto sciaguratamente contorni da declino inarrestabile in tempi di Covid-19. In assenza di una politica estera degna di un Paese strategicamente ed economicamente rilevante, è stato consentito in pochi mesi, dati alla mano, al netto di una irresponsabile disinformazione, di far accomodare al nostro posto Paesi concorrenti, per di più ringhiosi e determinati, subentrati da protagonisti nelle zone d’influenza italiana.

A prescindere dal nostro ruolo politico-economico (probabilmente attualmente sovrastimato) di settima o ottava potenza mondiale, è proprio nelle aree prioritarie per tradizione, vicinanza, tutela degli interessi nazionali che abbiamo perso, quasi fosse ineluttabile, autorevolezza, influenza e considerazione dovuta al Paese Italia.

E’ il caso di riassumere fatti forse già noti separatamente eppure resi ancor più preoccupanti per il nostro futuro prossimo in una visione d’insieme. Dovrebbero indurre a reazioni incisive, da Paese sovrano se potessimo contare su un sussulto d’orgoglio nazionale, su una strategia unita a capacità d’azione e competenze adeguate almeno per riacquisire quanto ci viene sfilato sotto il naso. Apparentemente senza alcuna risposta concreta né tanto meno dissuasiva.

Non si tratta beninteso di incitare a rappresaglie o politiche oltremodo aggressive, ma almeno ad un cambio di rotta determinato, frutto di una realistica valutazione delle “lezioni apprese”, del pericolo e delle conseguenze politico-economiche della passività, dell’approccio retorico ideologico, del delegare ad altri, del non decidere, a fronte delle sfide complesse cui siamo sottoposti.

Esaminiamo le aree geografiche di interesse strategico prioritarie per L’Italia:

  • Balcani occidentali
  • Medio Oriente e Nord Africa (MENA). In questo contesto la Libia va considerata priorità a sè stante per ragioni storiche, di reciproco interesse per i due popoli, commerciali, strategiche.
  • Sahel (dall’inizio della crisi migratoria), ovvero la fascia di Africa sub-sahariana.
  • Corno d’Africa (include Somalia, Etiopia, Eritrea, e le rotte marittime commerciali ampliatesi con il raddoppio del Canale di Suez. L’Italia partecipa da anni alle missioni internazionali anti pirateria e alla difesa dei trasporti marittimi commerciali).

Sahel e Corno d’Africa rientrano in pieno nel concetto di Mediterraneo allargato la cui estensione oltre il Nord Africa è acquisita dall’inizio delle operazioni di difesa dei trasporti marittimi, di contrasto al terrorismo internazionale e ai traffici di tutti i generi, a partire dagli esseri umani, dalle migrazioni illegali.

Balcani occidentali

Fino a inizio anni 90 del secolo scorso l’Italia ha goduto di un’influenza politica non trascurabile, frutto anche di iniziative bilaterali importanti ed autonome. Si ricordano in particolare le iniziative dell’ottimo e vulcanico Vice presidente del Consiglio e ministro, Gianni De Michelis, prima del lavoro poi degli esteri fino al 1992.

Ero in Austria nel 1992 in servizio all’Onu quando nei contatti che avevo con alti funzionari Onu e diplomatici di vari Paesi, venivano lodate le qualità del nostro ministro e la sua leadership. Era molto popolare in Austria, fatto non abituale soprattutto se raffrontato con la percezione della nostra politica estera almeno dal 2012 in poi.

Con la caduta del Muro di Berlino nel 1989, il ministro De Michelis dotato di visione strategica, determinazione, capacità di azione, del tutto assenti ai giorni nostri, aveva immaginato e creato una iniziativa Adriatica, poi sfociata nella Quadrangolare, assieme ad Austria, Ungheria ed ex-Jugoslavia per rinforzare il dialogo politico, la cooperazione ed incrementare le opportunità di scambi commerciali e culturali. Nel 1990 aderì anche la Cecoslovacchia e nel 1991 la Polonia.

La cosiddetta Esagonale assunse nel 1992 l’attuale denominazione di Iniziativa Centro Europea. I Paesi membri divennero 17 nel tempo. l’Italia era considerata capofila dell’Organizzazione Ince il cui segretariato risiede ancora oggi, non a caso, a Trieste.

Una intraprendente azione politico-diplomatica di alto profilo, assunta e voluta dall’Italia senza l’ingombrante presenza di Francia e Germania. Negli anni l’organizzazione perse rilevanza per l’uscita di scena del suo ideatore, per la sempre più invadente influenza tedesca nei Balcani, per la scarsa disponibilità di fondi, di una progettualità concreta e visibile, per il progressivo, inesorabile declino della capacità di azione italiana, della stessa politica estera sempre più delegante e, dalla fine dell’esperienza governativa di Berlusconi, appiattita sulle politiche comuni europee. Il dato oggettivo comportò un depotenziamento sostanziale delle iniziative bilaterali a tutela degli interessi nazionali, una perdita di influenza e competitività, almeno nelle nostre aree prioritarie, rispetto all’attivismo di Francia e Germania.

Le prime pericolose avvisaglie per l’Italia giunsero con il chiaro, forte sostegno della Germania alle richieste d’indipendenza di Croazia e Slovenia dalla Federazione Jugoslava. Gli interessi tedeschi non erano convergenti con quelli italiani e l’Unione europea appena nata non in grado di esprimere una posizione condivisa dai Paesi membri di allora.

La progressiva dissoluzione della ex-Jugoslavia contribuì a rafforzare l’influenza tedesca e a minare di pari passo quella italiana. Un chiaro esempio fu l’esclusione dell’Italia dal primo Gruppo di Contatto nato su iniziativa USA, nel 1995, per cercare di risolvere la grave crisi in atto nella Bosnia-Erzegovina, acuitasi a causa dei fallimenti operativi della Ue e dell’Onu. Italia esclusa in prima istanza dal Gruppo di Contatto nonostante la riconosciuta influenza nei Balcani e Germania presente.

Una ferita mai rimarginata, formalmente rientrata solo perché l’Italia inviò un contingente militare in Bosnia-Erzegovina in ambito Nato e fu quindi ammessa in un secondo momento nel Gruppo di Contatto.

Il danno politico-diplomatico non fu riassorbito, al netto delle solite retoriche italiane, al punto che l’impressione del ritorno alla politica dello “strapuntino”, l’importante è essere presenti alle riunioni internazionali anche se silenti tanto poi decidono gli altri, si concretizzò in maniera palpabile.

Gli avvenimenti legati alla vicenda Kosovo sono forse i più indicativi per misurare la perdita di influenza e autorevolezza italiana nella regione.

Il nostro Paese non si fece trovare impreparato quando deflagrò il caso Kosovo con Massimo D’Alema Presidente del Consiglio. Partecipò alla guerra aerea Nato contro la Serbia e inviò un robusto contingente militare, una brigata, già dall’ingresso nel giugno 1999, delle truppe Nato, acronimo Kfor, in Kosovo a seguito della pace siglata, della risoluzione Onu 1244 che determinò lo status del Kosovo e le modalità d’impiego della più grande missione civile internazionale dell’Onu messa in campo fino ad allora unitamente alla componente militare Kfor preposta ad assicurare la sicurezza del territorio.

Al contingente militare italiano fu affidata una delle 4 regioni kosovare quella di Pec/Peja. Oltre alle mansioni previste, svolte impeccabilmente fra le due etnie nemiche, si distinse, fra l’altro, nella protezione delle minoranze, serba in particolare, e, ancora oggi, dell’antichissimo patrimonio artistico culturale costituito da splendidi monasteri e chiese serbo-ortodosse.

Il reggimento del Genio Ferrovieri italiano, vera eccellenza nel suo campo, intervenuto su esplicita richiesta dei britannici responsabili della regione di Pristina fu in grado di ripristinare in un breve arco di tempo l’intera rete ferroviaria danneggiata consentendo la circolazione di merci e persone nonché gli spostamenti in sicurezza delle minoranze. Grande impatto positivo per qualità e risultati ottenuti ebbero anche il reggimento dei carabinieri MSU, alle dipendenze dirette del Comandante di Kfor, impiegabile in tutto il Kosovo per l’ordine pubblico nelle situazioni più critiche e l’Aeronautica militare chiamata a gestire dal 2000 l’aeroporto di Pristina, lo scalo principale.

La premessa è necessaria per descrivere parzialmente l’importanza del contributo italiano.  Siamo a tutt’oggi presenti in Kosovo con il secondo, dopo gli Usa, contingente militare assicurando dal 2013 con continuità il comando Kfor.

Riportate le note positive è bene soffermarsi sui risvolti negativi, emersi già da allora, utili a comprendere la progressiva perdita di influenza politico-diplomatica fino alla sostanziale irrilevanza odierna. E di sostanza si tratta, non dei formalismi sbandierati da vari governi e dal Ministero degli esteri per giustificare una rilevanza italiana la quale nei fatti, per chi ha avuto esperienze dirette sul campo, nei negoziati o ha ben analizzato le situazioni fuori da logiche di bottega e demagogie, non trova conferme concrete sul terreno e ai tavoli negoziali.

Se è assodata la presenza italiana alle riunioni internazionali formali che contano, almeno fino agli sgarbi recenti di Francia e Germania, e nel Quint, gruppo dei Paesi occidentali USA, Francia, GB, Germania e Italia, facenti parte del Gruppo di Contatto assieme alla Russia, in quanto ad iniziative sostanziali e influenti, determinanti per le decisioni comuni abbiamo preferito agire nel segno della prudenza assecondando le decisioni altrui. Bastava essere presenti.

Una costante della politica estera acuitasi vistosamente negli ultimi anni. All’origine del declino vi è stata sempre la stridente disparità fra sforzi, risorse umane e finanziarie messe in campo e benefici concreti capitalizzati in funzione di una crescita del nostro ruolo internazionale, della tutela dei nostri interessi primari. La questione dei dividendi da incassare in ogni frangente non è mai sfuggita agli alleati competitori Francia, Germania, Regno Unito e anche Paesi Bassi, Belgio, Spagna, Paesi scandinavi.

In linea generale, una debolezza evidente è stata l’accantonamento di un’azione italiana incisiva, strategica, identificabile nell’ambito degli organismi internazionali, Onu e Ue in particolare, preferendo, nei fatti, garantire un sostegno assicurato, acritico, alla gestione amministrativa e politica degli stessi.

Risultato: nei quartieri generali, sul terreno, nella componente civile delle missioni internazionali le posizioni decisionali, non necessariamente quelle apicali, occupate in minima parte da italiani sempre in misura nettamente inferiore ai contributi versati, alla qualità dell’impiego militare e civile.

Se non si dispone di responsabilità politico-decisionali in ambito civile, e in più si consente di scavalcare i pochi italiani che le detengono e svolgono degnamente il loro lavoro senza pronte e adeguate reazioni da parte del ministero degli esteri, si comprende meglio la perdita di influenza, il declino, la percezione di debolezza che permette ad altri Paesi di occupare le posizioni che a noi spetterebbero, perfino quelle da noi detenute. Una grave carenza per un Paese importante, per una politica estera che dovrebbe imporre la sua autorevolezza a tutela degli interessi nazionali, delle posizioni italiane da proteggere e incrementare negli organismi internazionali.

E’ quel che accadde in Kosovo, e non solo, già dalle prime fasi della missione. Non bastò la denuncia coraggiosa del vice comandante di Kfor il generale italiano Mazzaroli il quale, in un’intervista al Corriere della Sera, riportò in sostanza che a fronte dei cospicui contributi finanziari e dell’impiego di importanti risorse umane militari, l’Italia non contava quasi nulla nella missione civile Onu Unmik e che avremmo perso tutte le opportunità senza un forte sostegno diplomatico. Il generale fu richiamato in 24 ore in Italia per aver denunciato, per amor di patria, una verità ineccepibile.

Ne sono testimone diretto in quanto ero presente in Kosovo in servizio presso Unmik, fra i pochi civili italiani a rivestire un incarico di responsabilità decisionale, conquistato sul campo con la soddisfazione dell’ex ministro degli esteri francese Bernard Kouchner allora primo rappresentante speciale in Kosovo del segretario generale dell’Onu. Ad avvalorare quanto riportato è utile ricordare che l’Italia fu l’ultimo grande Paese ad avere il rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu e poco prima del drastico ridimensionamento della Missione Unmik. La nomina di un capo italiano fu successiva perfino a quelle di danesi e finlandesi.

Scorrendo gli eventi recenti va ricordato un episodio sconcertante al pari dell’esclusione dal primo Gruppo di Contatto. Il 29 aprile 2019 Germania e Francia organizzarono, presenti capi di Stato e di governo dei Paesi coinvolti e il rappresentante Ue, un vertice informale sui Balcani occidentali per incentivare la definizione della politica Ue verso i Balcani occidentali, accelerare il dialogo fra Serbia e Kosovo, allora in stallo, creando di fatto un gruppo di testa nel contesto balcanico.

L’Italia non fu invitata e non partecipò. Uno smacco, un paradosso considerato il ruolo potenziale dell’Italia nell’area e il fatto che il nostro Paese manteneva, e mantiene, il secondo contingente militare in Kosovo mentre la Francia ha ritirato le truppe e la Germania è presente con poche decine di unità. Cercare di minimizzare l’episodio non agevola le analisi costruttive, è proprio in quel tipo di riunioni, siano esse informali o meno, che, a prescindere dalla presenza del rappresentante Ue, si valuta il peso politico di un Paese e di conseguenza se ne attesta influenza e rilevanza.

Realisticamente a livello europeo le decisioni sui Balcani vengono ormai prese su impulso del duo franco-tedesco. A parte l’Albania, Paese amico, dove cresce pericolosamente l’influenza turca, e forse Serbia e Montenegro, appaiono oggettivamente difficili i rapporti con Croazia e Slovenia.

Non sono agevolati dalle continue infiltrazioni di migranti illegali in Italia, nonostante le strombazzate pattuglie congiunte alle frontiere, dalla questione ancora irrisolta della ZEE (zona economica esclusiva) fra Italia e Croazia nell’Adriatico e dalle intese per i corridoi turistici in epoca Covid 19 non certo favorevoli al nostro Paese. Persino in Kosovo, dalla semplice analisi dei giornali locali e delle rassegne stampa quotidiane predisposte da Osce e Unmik si intuisce, ad esempio, quanto poco rilevante sia stata considerata nella sostanza l’ultima visita del ministro degli esteri, Luigi Di Maio.

Meno delle visite di direttori generali francesi e tedeschi dei rispettivi ministeri degli esteri.  Che l’Italia mantenga in Kosovo contingenti militari importanti contingenti in ambito NATO (incluse forze dei Carabinieri, anche per investigare sui loschi traffici, riciclaggi e collaborazioni fra mafia kosovara e organizzazioni criminali italiane) è un dato positivo, molto meno sul piano di un effettivo beneficio e di una accresciuta influenza politica nei Balcani.

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L’articolo prosegue affrontando le altre aree di interesse italiano qui: https://www.analisidifesa.it/2020/06/litalia-sta-cedendo-quote-dinfluenza-nelle-aree-prioritarie-per-gli-interessi-nazionali/