Fabio Caffio – La “guerra di trincea” tra Slovenia e Croazia per la baia di Pirano

LA “GUERRA DI TRINCEA” TRA SLOVENIA E CROAZIA PER LA BAIA DI PIRANO
Fabio Caffio

A quasi venti anni dalla dissoluzione della ex Jugoslavia e dalla proclamazione della loro indipendenza, Slovenia e Croazia mantengono ancora aperto un contenzioso marittimo relativo agli spazi che fronteggiano l’Italia nel Golfo di Trieste e davanti all’Istria. La questione verte principalmente sulla delimitazione della piccola Baia di Pirano e sulla pretesa slovena di aver diritto ad un corridoio di transito che colleghi le proprie acque territoriali alle acque internazionali dell’Adriatico.

Il problema sta nel fatto che la Slovenia, confinata nel fondo del Golfo di Trieste, con uno sviluppo costiero di appena 47 km. e con un solo porto (Capodistria), a fronte dei 5.800 km della Croazia, isole comprese, è un paese che si sente geograficamente svantaggiato sul piano marittimo. Di qui l’aspirazione a vedersi riconosciuto un regime che le garantisca “acqua” sufficiente a gestire in libertà i propri traffici commerciali.
Tutto questo non esisteva naturalmente sino al 1991, quando gli spazi marittimi della ex Jugoslavia appartenevano alla Federazione e non alle singole Repubbliche. A quel tempo la Baia di Pirano era chiusa da una linea di base di circa 3 miglia che racchiudeva acque interne. La delimitazione del Golfo di Trieste era stata stabilita con il Trattato di Osimo del 10 novembre 1975 tra l’Italia e la ex Jugoslavia sulla sistemazione delle questioni pendenti tra i due Paesi. Il Trattato (la cui validità è stata confermata il 31 luglio 1992 dalla Slovenia come Stato successore della ex Jugoslavia), fissa all’Allegato III i limiti delle rispettive acque territoriali con una linea di delimitazione di 29 km., individuata da 5 punti di cui il primo è situato al confine di Stato e l’ultimo si raccorda al punto in cui iniziano le acque internazionali. A dimostrazione delle buone relazioni italo-jugoslave, a tale accordo di delimitazione si era aggiunto quello di Roma del 18 febbraio 1983 che aveva istituito nel Golfo di Trieste una zona di pesca comune, delimitata da un quadrilatero a cavallo delle rispettive acque, in cui era consentita la pesca di un limitato numero di battelli di pescatori residenti nei comuni del Friuli-Venezia Giulia e del litorale sloveno.

I termini della controversia tra i due Paesi, dopo un iniziale periodo di positiva collaborazione, si sono radicalizzati nel 1993 quando la Slovenia nel “Memorandum on the Bay of Piran of 7 April 1993” ha espresso la tesi che: a) l’intera Baia le appartenga per il principio dell’uti possidetis, invocando titoli storici e circostanze speciali ex articolo 12 della I Convenzione di Ginevra sul diritto del mare del 1958; b) l’accesso alle acque internazionali costituisca un proprio “diritto naturale” in relazione agli interessi di comunicazione e di pesca.

La Croazia, per parte sua, ha ufficialmente dichiarato nel 1999 che la linea mediana costituisce l’unico principio applicabile per la soluzione negoziata della disputa secondo l’articolo 15 della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (Unclos), richiedendo, in caso negativo, il ricorso al Tribunale internazionale del diritto del mare. La stessa Croazia in più occasioni si è inoltre detta contraria ad ipotesi di spartizione della Baia che le assegnerebbero una fascia di acque territoriali di soli 278 mt. nella zona antistante la propria penisola di Salvore (Savudrija) lasciando alla Slovenia più dei 2/3 dell’area.

L’intesa sfiorata

Sta di fatto che quando la composizione del contenzioso sembrava quasi raggiunta con un accordo del luglio 2001 tra i primi ministri dei due Paesi, Drnovsek e Racan, che, accogliendo le pretese slovene, prevedeva come confine quello al limite di tale fascia, la Croazia non ha proceduto alla sua ratifica. Secondo questo accordo, oltre alla quasi totalità della Baia, la Slovenia avrebbe potuto accedere alle acque internazionali, nel punto terminale degli Accordi di Osimo del 1975, mediante un corridoio passante per le acque territoriali croate. Alla Croazia sarebbe tuttavia stata attribuita, in prossimità di tale punto, una piccola porzione triangolare di acque territoriali intercluse tra quelle italiane e quelle slovene.

Come ulteriore complicazione della vicenda è poi intervenuta nell’ottobre 2005 l’iniziativa unilaterale slovena di istituire: a) proprie zone di protezione della pesca articolate in una: “zona A” coincidente con le acque dell’intera Baia di Pirano, una “zona B” comprendente le acque territoriali adiacenti la frontiera marittima degli Accordi di Osimo sino al punto 5 della stessa, e in una “zona C”, in acque internazionali, estesa da detto punto sino al parallelo 45° 10’ passante per Umago e sovrapposta alla analoga zona di protezione croata; b) una zona di protezione ecologica coincidente colla predetta “zona C” .

Stando così le cose, Slovenia e Croazia non sembrano ancora intenzionate a porre termine alla guerra di trincea in difesa delle reciproche posizioni marittime e delle connesse pretese territoriali sul possesso di villaggi della Dragonia. Nel 2007 era tuttavia balenata la possibilità di devolvere la controversia alla giurisdizione della Corte internazionale di giustizia (Icj), soluzione che non incontra però il favore della Slovenia. L’adesione della Croazia alla Ue spinge infatti la Slovenia a richiedere una composizione bilaterale e politica della questione.

La prospettiva italiana
In attesa che un accordo venga raggiunto è lecito interrogarsi sul ruolo del nostro Paese nella vicenda. Apparentemente l’Italia sta alla finestra non essendo parte della disputa, attendendo solo di conoscere a chi appartengono le acque territoriali antistanti le proprie nel Golfo di Trieste. Tra l’altro l’Italia ha di recente trovato un temporaneo modus vivendi con la Croazia per la moratoria sulla zona di protezione ecologica e riservata di pesca (Zerp) dalla stessa unilateralmente dichiarata nel 2003 sino al confine della piattaforma continentale previsto dall’accordo italo-jugoslavo del 1968 (l’Italia non accetta la pretesa croata di una sua automatica l’applicazione alla Zerp ). Eppure l’Italia potrebbe giocare un proprio ruolo, essendo in posizione di neutralità, nel ricercare una composizione delle questioni marittime dei suoi vicini adriatici. A condizione ovviamente che Slovenia e Croazia dimostrino di non avere nei confronti del nostro Paese quelle radicate riserve e quegli anacronistci preconcetti a volte manifestati anche in anni recenti.

Non può negarsi per il vero che le pretese della Slovenia sembrano ragionevoli in quanto volte ad ottenere garanzie che l‘accesso alle acque internazionali non sarà mai pregiudicato da restrizioni al passaggio inoffensivo attraverso le acque territoriali croate. D’altro canto l’attribuzione alla Slovenia della quasi totalità della Baia di Pirano pare stridere contro l’antico principio secondo cui land dominates the sea, anche se una delimitazione secondo mediana avvicinerebbe le acque territoriali croate a poche miglia da Capodistria (Koper) e Trieste. Che fare dunque? Tra le tante soluzioni ne sono circolate parecchie che ipotizzano un condominium tra Slovenia e Croazia sia per la Baia di Pirano che per il corridoio di accesso della Slovenia alle acque internazionali. Un esempio in questo senso viene indicato nel regime del Golfo di Fonseca e degli spazi marittimi adiacenti delineato nella sentenza della Icj del 1992 relativa al caso riguardante Salvador, Honduras e Nicaragua.

Il fatto è che ragionare in termini di stretta sovranità nel Golfo di Trieste appare oramai superato dalla storia tenuto conto del fatto che l’area, riguardante Paesi destinati a far parte della Ue e gia aderenti alla NATO, presenta una valenza prevalentemente turistico-commerciale oltre che di sicurezza della navigazione e di tutela dell’ambiente marino e della pesca tradizionale. Se così è, la via delle soluzioni a giurisdizione congiunta (cui potrebbe anche aderire l’Italia) sembra essere la più matura ed adeguata, come del resto dimostra la scelta fatta dal nostro paese e dalla ex Jugoslavia con l’Accordo del 1983 sulla zona di pesca comune del Golfo di Trieste.

Fabio Caffio è Ufficiale della Marina Militare, esperto di diritto marittimo. Le opinioni espresse nella presente nota (già pubblicata sul sito web dell’Istituto Affari Internazionali) sono esclusivamente personali.
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