Giorno del ricordo: Confine orientale, una tragedia ignorata

Scritto da Fulvio Salimbeni, «Messaggero Veneto», 07/02/14
venerdì 07 febbraio 2014

Poco prima del 27 gennaio nelle librerie è comparso l’opuscolo Contro il Giorno della Memoria (edito da Add), dovuto non a un negazionista o a un fanatico antisemita, come si potrebbe pensare, bensì a Elena Loewenthal, giornalista ebrea della Stampa e docente universitaria di cultura ebraica, in cui si contesta il ritualismo e il conformismo della celebrazione di tale ricorrenza. Nell’occasione, infatti, si fa spreco di commozione e di dichiarazioni di solidarietà verso il popolo ebraico, proclamando la volontà che tragedie simili non si ripetano più, ma dal giorno dopo tutto riprende come prima, né nessuno pensa a un severo esame di coscienza da parte della comunità internazionale per comprendere come e perché ciò sia potuto accadere in una società per secoli propostasi a modello universale di civiltà.

Altrettanto vale per il Giorno del Ricordo, e, poiché quest’anno cade il decennale della sua istituzione, pare opportuno riflettere su senso, organizzazione e risultati di tale manifestazione, troppo spesso ridottasi a esibizione retorica e a mera memorialistica, senza sforzi di storicizzazione e volontà d’effettiva comprensione delle drammatiche vicende in essa commemorate, perché non basta ricordarle, ma è necessario conoscerle e spiegarle. La prova più evidente del sostanziale fallimento di un’iniziativa nata per far sapere specialmente ai giovani, mediante la scuola, ma un po’ a tutta l’opinione pubblica nazionale, disinformata in merito, ciò che sul nostro confine orientale accadde in particolare tra 1943 e 1947, è fornita dagli esami universitari di storia contemporanea, dove gli studenti nella stragrande maggioranza dei casi mostrano di non saperne nulla, o ben poco, dichiarando che a scuola non se n’è parlato quasi mai o, quando lo si è fatto, poco e male.

Questo accade dopo che in tutti gli ordini e gradi dell’istruzione per legge si dovrebbe trattare in maniera esauriente l’argomento, e non solo il 10 febbraio, mentre il Ministero della Pubblica Istruzione da anni organizza seminari di formazione per docenti delle secondarie, frequentati da alcune decine di loro, confidando che ciò sia sufficiente per promuovere piena consapevolezza in materia. Ma come stupirsi della diffusa ignoranza al riguardo, quando la conoscenza della storia contemporanea in generale è a livelli infimi, per cui agli esami si scopre che dopo il 1918 Trieste è rimasta all’Austria, perché l’Italia era stata sconfitta, e che la Grande Guerra è stata vinta da Inghilterra e Germania, e si potrebbe continuare per pagine e pagine a enumerare siffatte mostruosità!!!
Nonostante da almeno quindici anni, con la direttiva Berlinguer, nell’ultimo anno delle superiori si debba insegnare la storia del XX secolo, ben pochi sono gli istituti in cui ciò accade, donde l’ignoranza diffusa su essa e, ovviamente, ancor più sul tema di cui qui si ragiona.

Si dovrebbe, perciò, prendere esempio da quanto a Udine fa il Comitato Provinciale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia sotto l’appassionata guida di Silvio Cattalini, che non riduce tutto alla sola giornata del 10 febbraio – quando, comunque, come avviene pure quest’anno, non ci si limita a un discorso di circostanza, bensì il programma prevede, domenica 9 a Udine, l’intervento d’un docente universitario di storia, la presentazione della ristampa anastatica de L’Arena di Pola 1945-1947, che in tale biennio fece il possibile per difendere la causa nazionale, la proiezione di documentari sulla distruzione di Zara e la presentazione d’un libro di memorie –, ma annualmente, cercando pure il collegamento con la scuola, quel Comitato benemerito organizza cicli organici di conferenze pubbliche sui diversi aspetti e momenti della civiltà adriatica, che poi spesso confluiscono in pregevoli pubblicazioni con editrici di prestigio, che danno così loro larga diffusione.

Mentre troppo spesso, viceversa, la pubblicistica dell’esodo ha una circolazione limitata solo ai membri delle varie associazioni in cui la diaspora giuliana, fiumana e dalmata è frammentata. Se ciò diverrà un modo d’operare generalizzato e coordinato a livello nazionale, la ricorrenza del 10 febbraio avrà un significato, altrimenti si dovrà scrivere un opuscolo, Contro il Giorno del Ricordo.