Il deludente soggiorno di Stendhal a Trieste

Marie-Henry Beyle, meglio noto come Stendhal. La menzione genera il ricordo di un libro, ‘Il rosso e il nero’ (1830). Grandi e poderosi volumi, densi di tortuose introspezioni, degne d’un labirinto mentale. Per altri ancora, lo Stendhal storico de ‘La Certosa di Parma’. Proprio lo scrittore francese viene ricordato da una targa presente al n. 6 di Via Corso Italia, all’incrocio con Piazza Riborgo. Non sulla parete, ma posizionata a terra. Calpestata, spesso causa d’inciampo. Una scelta che riflette il giudizio di Stendhal quando fu ospite a Trieste, in quell’anno fatale nel quale pubblicò ‘Il rosso e il nero’: il 1830.

Henry Beyle giunse a Trieste nelle vesti di console della Francia dell’orleanista Luigi Filippo, il monarca borghese che aveva soppiantato la Restaurazione precedente. Non sorprende allora che Stendhal fosse sorvegliato dai gendarmi, inviso tanto al cancelliere Metternich a Vienna, quanto presso il Litorale dal governatore, il principe di Porcia.
La corrispondenza privata veniva letta e censurata, i salotti borghesi gli sbarravano le porte, la polizia lo pedinava mentre passeggiava tra le vie cittadine.

Stendhal non a caso rimase assai poco a Trieste; dal 25 novembre 1830 al 31 marzo 1831, appena quattro mesi vissuti con notevole insofferenza.

Eppure il gigante della letteratura francese lasciò le sue impressioni di viaggio, le sue annotazioni su una città percepita ‘nuova’, paragonata ai centri urbani americani. 

Dapprima Stendhal prese alloggio presso l’albergo All’Aquila NeraZum schwarzen Adler; un alberghetto nel centro cittadino, ma piuttosto economico. Dopo un mese Stendhal si spostò a vivere in una casa di campagna, alla periferia di Trieste. La zona era abitata da un popolino vivace, caratterizzata dal contado sloveno; poco apprezzata da un amante di teatri e vita cittadina quale Stendhal, il quale si lamentò che qui “tocco con mano la barbarie”.

Visitando la città Stendhal non rimase impressionato dal Borgo Teresiano; certo vi erano “Tre magnifiche strade allineate lungo il mare” ma le case-magazzino erano “enormi, molto alte eppure solo a tre piani, ma senza il minimo ornamento di architettura”.

Osservando che “Quando questo paese ha fatto fortuna, verso il 1818, l’architettura non era alla moda”.

La città, per un console di uno stato non riconosciuto quale la Francia orlenanista, era costosa; inoltre faticava a trovare una sistemazione che lo proteggesse dal freddo dell’inverno del 1830-31.

Stendhal soffriva in particolar modo la “Borra” che gli causava “i reumatismi alle budella”.

“Fa borra due volte alla settimana e gran vento cinque volte – scrive Stendhal – Chiamo gran vento quando si è sempre occupati a trattenere il cappello e borra quando si ha paura di rompersi un braccio. Sono stato trasportato l’altro giorno di quattro passi”.

Ed elenca la conta dei danni: “Un uomo saggio, l’anno scorso, trovandosi ad una estremità di questa città, che è piccola, ha dormito in albergo, non osando, a causa delle borra, tornare a casa sua. Ci sono state, nel 1830, venti gambe rotte”.

E vi era poi la società triestina dei primi decenni dell’ottocento; popolata di dinastie di mercanti fedeli all’impero austriaco, attenti al tornaconto economico prima e alla cultura dopo. Persone acculturate, ma provenienti da un sostrato di avventurieri, di commercianti, di mercanti abituati a tirare d’azzardo coi propri affari. Stendhal si lamenta spesso di questa società mercantilista con la quale fatica ad avere rapporti: “Bisogna abituarsi alla mancanza assoluta di ogni scambio di pensiero. Ho cercato di non fare una sola plaisenterie da quando sono arrivato in questa isola. Non ho detto una cosa tentando di essere divertente. Non ho visto la sorella d’un uomo; infine sono stato moderato e prudente, e crepo di noia”.

Era un isolamento d’altronde perseguito dallo stesso Stendhal; quando Domenico Rossetti aveva sollecitato il suo supporto alla sottoscrizione per un monumento che onorasse Johann Winckelmann, Stendhal aveva preferito lasciar stare, rispondendo che “Nelle presenti circostanze non posso, signore, che farvi qualche augurio”.

Fonti: Nora Franca Poliaghi, Stendhal a Trieste, Firenze, 1984

Zeno Saracino
Fonte: Trieste News – 27/04/2024