L’ora dell’Europa

La “drôle de guerre” catalana è cominciata. Il limbo istituzionale in cui ora versa la regione spagnola – perché ancora tale è da considerare – è riconosciuto da molti studiosi ed esperti. Il discorso del re del 3 ottobre aveva cementificato la posizione del governo centrale di Madrid, con un breve ma duro attacco alle istituzioni catalane ree di “aver violato i principi democratici dello stato di diritto” con una “slealtà inaccettabile”, minando le fondamenta della giovane monarchia spagnola che, dopo il regime franchista, ha cercato di assurgere a simbolo di unità per tutti gli iberici. Re Felipe VI, da pochissimi anni sovrano del Paese, sta attraversando la più grave crisi dalla costituzione spagnola del 1978. Se da Barcellona si aspettavano un discorso neutrale incentrato sul dialogo, si sbagliavano. Per il sindaco di Barcellona, Ada Colau, è stato “irresponsabile”. Questo, secondo il primo cittadino, alla luce anche delle migliaia di catalani che hanno scioperato il 3 ottobre sotto la spinta di alcune delle sigle sindacali pro-indipendenza. Non si dimentichino, però, le manifestazioni degli unionisti che hanno invaso non solo le piazze castigliane, ma anche il fulcro della protesta catalana – Barcellona. Forse, dopo l’alta affluenza di spagnoli fatta registrare anche in queste ultime manifestazioni, il leader indipendentista Puidgemont ha frenato la marcia verso un’indipendenza piena, unilaterale e – nel suo pensiero – avallata dall’Unione Europea. Le tiepide considerazioni giunte da Bruxelles, in questo momento storico come non mai infarcite di “frasi fatte” e nozioni elementari tratte dal diritto internazionale recitate ad hoc per non sbilanciarsi, hanno affievolito la speranza di Puidgemont di contare su un consenso più ampio. Tutti i leader europei si sono schierati a difesa di Madrid e delle scelte del Primo Ministro Rajoy: ciò è stato ben sintetizzato dalla dichiarazione del Presidente del Parlamento Europeo Tajani per cui l’integrità degli stati nazionali debba essere una garanzia per la stabilità di tutta l’Unione Europea. Dal canto suo, il Consiglio d’Europa ha annunciato di essere pronto ad avviare un’indagine sugli atti di violenza perpetrati dalla polizia spagnola in Catalogna il giorno del referendum.

 

Dichiarazione d’Indipendenza… a metà

Il 10 ottobre, alle 19.41, il presidente Carles Puigdemont ha proclamato la Repubblica catalana. Alle 19.42 ha sospeso la secessione, forte della volontà di dialogo con Madrid. Dopo ore di trattative con le varie componenti del fronte indipendentista, ritardando di un’ora il momento del suo intervento al Parlamento catalano, il Presidente ha optato per la formula mista. Un ibrido che, da un lato, ha aizzato la popolazione catalana nel riconoscersi nella Repubblica unilateralmente proclamata nel palazzo della Generalitat catalana, dall’altro ha invocato l’avvio del dialogo con le autorità spagnole. Puidgemont non si è definito un “golpista” e, dopo un solo minuto dall’indipendenza, ha voluto giustificare la sua affermazione tendendo la mano a Madrid. Rajoy, rappresentante di una nazione che lo spettro del “golpe” lo aveva vissuto ottant’anni fa, dinanzi alla costituzione spagnola non ha visto motivo per legittimare la posizione di Puidgemont. Il Primo Ministro sarebbe sì disposto al dialogo, ma solo con il Presidente della Comunità autonoma catalana, non certo con il Presidente di una repubblica a Madrid sconosciuta. Il “modello sloveno”, invocato da alcuni leader indipendentisti a Barcellona, non può essere così facilmente applicato in Spagna. Le condizioni storiche non sono le stesse e la comunità internazionale, che nelle guerre balcaniche degli anni ’90 del Novecento ha fin troppo disturbato e modificato il corso degli eventi con esiti poco rassicuranti, non ha alcuna intenzione di esporsi. E Madrid di riconoscere l’indipendenza catalana: ultimatum al 19 ottobre – data del presente articolo [n.d.a.] – per strappare la dichiarazione d’indipendenza, che per Madrid è definita tale senza le attenuanti su cui Puidgemont ha voluto sostenere il proprio discorso del 10 ottobre. Rajoy non concederà sconti e lo ha fatto intendere dando l’assenso all’arresto nei giorni scorsi dei leader indipendentisti Jordi Sanchez e Jordi Cuixart per sedizione. Il governo spagnolo si riunirà sabato a Madrid per attivare l’articolo 155 della costituzione, dopo quella che ha considerato una risposta negativa del presidente catalano Carles Puigdemont all’ultimatum, come sostenuto dal portavoce dell’esecutivo spagnolo Inigo Mendez de Vigo. Un Consiglio dei ministri straordinario sabato approverà l’attivazione del 155, che sarà sottoposta al voto del Senato, per ristabilire l’ordine costituzionale in Catalogna; La lettera di Puidgemont pubblicata stamane su “El Mundo” e indirizzata a Rajoy, dove chiedeva dialogo con Madrid senza fare ricorso all’articolo 155 e la conseguente sfida indipendentista lanciata da Barcellona, non ha avuto seguito. Sabato, 21 ottobre, si arriverà alla resa dei conti. Non è, purtroppo, il promo di un film ma un ulteriore passo verso l’instabilità della regione iberica e la inquietante, quanto mai realistica, possibilità di uno scontro aperto tra unionisti e indipendentisti in Catalogna.

 

Considerazioni dall’Europa

La situazione è incerta. Non c’è alcun altro stato europeo in cui la stabilità interna sia mai stata minacciata a questi livelli. La questione referendaria che domenica verrà portata nei seggi di Lombardia e Veneto esula completamente dal campo dell’indipendenza e viene effettuata all’interno della legalità costituiva della Repubblica Italiana. Anche la Scozia, altro territorio “caldo” da un punto di vista istitutivo – in cui peraltro un quesito referendario sull’indipendenza era già stato posto nel 2014, rappresenta un caso differente, poiché i negoziati con Londra erano avviati da tempo e in modo bilaterale. I leader dei partiti indipendentisti catalani hanno suggerito – e sperato – nell’applicazione del “modello sloveno”. Alla dichiarazione d’indipendenza, simbolica e stimolo propagandistico per la massa di catalani a favore dell’indipendenza, si è sperato di poter fare trascorrere un certo periodo di tempo per poter giungere a un compromesso indolore con Madrid, cercando appoggio dall’Unione Europea che rafforzerebbe le pretese di Barcellona. Cosa che non accadrà. Perchè? L’UE non può tollerare una scissione unilaterale in uno dei paesi membri. Già l’affaire Kosovo ha dimostrato, nonostante la questione trattasse la disgregazione di un Paese – la Serbia – extra UE, le divisioni tra i leader europei e ancora oggi cinque stati su 28 non ne hanno riconosciuto lo status di nazione indipendente – uno di essi è proprio la Spagna. Inoltre, proprio nei cinque paesi non riconoscenti la legittimità del governo di Priština, ci sono regioni inquiete dove i nazionalisti sarebbero pronti ad impugnare carte bollate per seguire l’eventuale precedente rappresentato dai catalani. Infine, la stessa Catalunya, in quanto possibile nuovo stato sul territorio fisico europeo, dovrebbe avviare nuovamente i negoziati per aderire all’Unione Europea. L’indipendenza, infatti, produrrebbe incertezze economiche sia sul giovane stato, che si troverebbe escluso dagli accordi economici UE e rischia il fuggi-fuggi di alcune delle più importanti multinazionali e banche, sia per l’economia dell’UE che perderebbe il più importante bacino economico di tutta la Spagna – produce da sola il 19% del PIL nazionale. Faber est suae quisque fortunae.

Gianluca Cesana, 19 ottobre 2017