Ricordiamoci dei veneti d’Istria

Scritto da Ivone Cacciavillani, «Corriere della Sera» (Veneto), 18/01/12
mercoledì 18 gennaio 2012
Le celebrazioni per l’approvazione dello Statuto – buona ultima la nostra Regione a darselo dopo la riforma del titolo V della Costituzione – hanno sottolineato dai vari punti di vista politici la differenziazione dei non-veneti rispetto al «prima i Veneti». Lasciamo per un attimo da parte la classificazione per nascita per soffermarsi sulla veneticità per cultura, lingua e senso d’appartenenza storica.
Ci si è dimenticati di quello che si può ben considerare l’altro Veneto – Istria e Dalmazia – dell’altra sponda del Golfo di Venezia, come veniva abitualmente indicato nelle carte geografiche settecentesche il mare Adriatico. Due recenti fatti non si possono ignorare: la crisi scoppiata tra Croazia e Vaticano per l’attribuzione dell’Abbazia benedettina di Daila, alle porte dell’antica Podestaria veneziana di Cittanova, all’Abbazia padovana di Praglia e la risposta data, nell’ultimo censimento generale della popolazione indetto dalla Croazia, alle domande relative alla nazionalità e alla madrelingua italiana. L’Abbazia di Daila nei secoli andati era stata lasciata per testamento all’Abbazia di Praglia, che l’aveva sempre amministrata. Venne confiscata dal regime comunista e, dopo lo scioglimento dello Stato iugoslavo, restituita dalla Croazia alla Chiesa cattolica, identificata nella Diocesi di Pola Parenzo, nel cui territorio essa si trova. Praglia ne ha rivendicato la titolarità e il Vaticano ha accolto la domanda e gliene ha attribuito la proprietà. Per tutta risposta la Croazia ha revocato la restituzione alla Chiesa del monumento, aprendo una crisi diplomatica col Vaticano di cui non è possibile prevedere esito e fine.
Ben più grave la vicenda del censimento; a dichiarare o la «nazionalità storica» o la madrelingua italiana fu lo 0,4% della popolazione, quando anagraficamente gli «oriundi» dovrebbero essere circa l’8/10%. Come dire che storicamente ed etnicamente molti lo sono, ma non lo dichiarano più e non è a credere per vergogna, ma proprio per disinteresse. Non si sentono più italo-veneti, quando fino a pochi anni fa per le stradine delle splendide cittadine della Costa si sentiva un dialetto veneto zampillante come una musica. Il discorso non è evidentemente di conquista, ma di presenza e di cultura. Presenza: ricordarsi dei fratelli istriani e nei limiti del possibile «assisterli». A cominciare dal bilinguismo nelle scuole e nelle indicazioni stradali. Le une e le altre dovrebbero esserci per trattato, ma spesso mancano affatto. Per le scuole – specie nelle piccole comunità – la prevalenza del croato rende problematica la presenza dell’insegnamento in italiano e vi si ripropongono esasperati i problemi delle nostre scuole nelle località isolate e di montagna.
Ma per le indicazioni stradali il discorso è ben diverso: dovrebbero servire a noi che ci andiamo per turismo; ma servono enormemente anche «a loro», come testimonianza d’una presenza culturale e identitaria, oltre che fisica. Piccole cose che non coinvolgono impiego di risorse, ma attenzione e presenza. Abbiamo un assessorato regionale all’Identità veneta; perché non crearne una sezione per i Veneti d’Istria, per curare gli scambi culturali e testimoniare un’affinità che affonda le sue radici in secoli di storia (con lo splendore dell’arte che fa delle cittadine della costa quasi dei sestieri della Serenissima).