Storie e leggende dei fari istriani

Un bravo marinaio impara fin da subito a orientarsi in base alle stelle e a correggere e modificare la rotta osservando le costellazioni. Per secoli la volta celeste rappresentò il punto di riferimento per tutti coloro che affrontavano il mare e la sua infinita vastità al calare della notte. Ancora oggi gli astri restano elementi essenziali per coloro che si trovano a solcare acque più o meno note, tranquille o agitate. Il cielo però non è sufficiente a garantire una navigazione sicura; oggigiorno radar di ultima generazione, GPS, mappe digitali rendono più sicure le traversate e sicuramente semplificano la vita a molti marinai. Per secoli, però, i migliori alleati dei lupi di mare sono stati i fari, edifici a ridosso del mare, che con la loro luce illuminavano la “via” e segnalavano la presenza di scogli, impossibili da avvistare con la sola luce delle stelle. Queste costruzioni imponenti e maestose all’inizio erano dei semplici roghi che brucavano sopra a cataste di legna posizionate in cima a una scogliera o a un dirupo per segnalare la vicinanza della costa e mettere in allerta i naviganti che con le prime imbarcazioni si spostavano da una località all’altra non allontanandosi troppo dalla terraferma. Con il passare del tempo queste strutture sono diventate sempre più solide e organizzate fino ad assumere le sembianze odierne: torri con in cima un fanale che segnala a grande distanza la presenza di ostacoli o massi in prossimità del litorale.

In Istria sono diversi i fari che ne costeggiano le sponde e anch’essi emanano un’aura particolare, legata alle bellezze naturali che li circondano e alle tante leggende che regalano loro quell’alone di mistero legato ad avventure e storie di un passato tanto lontano, da diventare mitico e inafferrabile.

Il faro di Salvore

Uno dei fari più conosciuti della penisola si trova proprio sulla sua punta nord-occidentale, per la precisione a Salvore, oggi a pochi chilometri dal confine con la Slovenia e pure vicino all’Italia. Si tratta del faro più antico dell’Adriatico ancora funzionante. I lavori per la realizzazione dell’opera iniziarono nel marzo 1817 e si conclusero in tempo record, tanto che nel giro di un anno la struttura fu messa in funzione. Il faro fu realizzato con la pietra della spiaggia locale, su progetto dell’architetto italiano Pietro Nobile per ordine della Deputazione della Borsa di Trieste. All’epoca il capoluogo del Friuli Venezia Giulia rappresentava il porto cardine dell’Impero asburgico, perciò il faro fu fatto costruire in una posizione strategica per garantire alle navi un’entrata sicura nella città, tanto che la sua luce è visibile addirittura da Opicina. La costruzione dell’impianto rappresentava l’avanguardia del periodo. Infatti, quello di Salvore fu il primo faro al mondo a utilizzare il gas ricavato dalla distillazione del carbone per alimentare l’impianto d’illuminazione. Per produrre la luce veniva utilizzato il carbone fossile estratto dalla miniere di Albona. A testimonianza della maestosità della sua realizzazione all’inaugurazione fu presente anche l’imperatore Francesco I.
La leggenda narra che il faro fu costruito per volontà del conte Metternich; costui, durante un ballo a Vienna, si sarebbe innamorato di una nobildonna croata e avrebbe fatto erigere l’edificio come simbolo del loro amore. Salvore sarebbe dovuta essere la loro dimora, ma proprio il giorno dell’inaugurazione la sua amata morì, provocando una sofferenza atroce nel conte, che non mise mai più piede nel luogo nel quale avrebbe dovuto trascorrere un’esistenza felice e appagante. Oggi, ai piedi del complesso sorge una lapide in ricordo di questo tragico amore.

La «luce» di San Nicolò

Scendendo di qualche chilometro, di fronte a Parenzo troviamo il faro di San Nicolò, eretto sul lato occidentale dell’omonimo isolotto che lo ospita. Non è un caso che la costruzione si trovi proprio lì; infatti, il Santo è il protettore del mare, dei marinai e dei viaggiatori e molti dei fari di tutto il mondo sono a lui dedicati.
L’opera architettonica è alta una quindicina di metri ed è stata realizzata nel lontano 1403, sotto il dominio veneziano. All’epoca era il faro più altro situato nel Mare Adriatico orientale. Il fuoco che ardeva in cima alla torre era alimentato dagli alberi che crescevano sull’isola; altrimenti sarebbe stato molto scomodo portare dalla terraferma le cataste di legna necessarie ad assicurare il segnale luminoso che ogni notte doveva essere ben visibile dal mare. Nel corso del XVII secolo il fuoco fu sostituito dalla luce della lanterna. Durante l’Impero austro-ungarico la struttura perse le sua importanza e la sua funzionalità, fino ad allora fondamentali in quel versante dell’Istria.

Punta Dente

A poca distanza da Parenzo si trova un altro faro, quello di Punta Dente, situato a Lanterna, nei pressi di Torre. L’edificio comprende il pianoterra e il primo piano ed è stato costruito nel 1872. Oggi non necessita di un guardiano perché la struttura è completamente automatizzata. Il suo nome particolare è legato a una suggestiva leggenda. Una donna se ne stava seduta sugli scogli nei pressi del faro ad aspettare il marito che era uscito in barca per andare a pesca; all’imbrunire tutti i pescatori locali rincasarono, ma dell’uomo non vi era traccia. Sembrava ovvio che il vecchio fosse morto in mare, ma la moglie anziana continuò ad attendere il suo ritorno per tre lunghi giorni. Il terzo giorno l’uomo fece la sua comparsa tra le onde del mare e raggiunse l’amata che lo aveva atteso pazientemente. Quando si riunì a lei, vide che era ringiovanita di trent’anni e che aveva riacquistato tutti i denti persi con la vecchiaia. Da qui nacque il nome evocativo di Punta Dente.

La lanterna di Rovigno

Scendendo lungo la costa istriana si arriva a Rovigno, località ammaliante che esercita il suo fascino sia sui turisti, sia sui residenti, perché nessuno si stanca mai della sua bellezza dallo stile veneziano. Di fronte alla cittadina dominata da Sant’Eufemia si staglia un arcipelago che dona ulteriore carisma al suo inconfondibile splendore. Su uno di questi isolotti, per la precisione su quello di San Giovanni in Pelagio, si erge un faro che i rovignesi chiamano lanterna. Fu edificato nel 1853 per volontà delle autorità austro-ungariche e comprende una torre ottagonale alta 23 metri unita a un edificio ospitante due appartamenti. La costruzione fu fabbricata su un’isola ricoperta di scogli e qualche arbusto, circondata da un mare cristallino con un fondale ricco di varie specie di pesci e numerose piante acquatiche. La località è inoltre famosa per i numerosi relitti di imbarcazioni che giacciono nelle sue profondità. Il faro ha un guardiano permanente addetto alla sua manutenzione, ma incaricato anche di indicare ai turisti le aree marine balneari in modo da evitare le correnti più forti e non disturbare i delfini che dimorano nelle vicinanze.
La suggestione del luogo ha dato vita a un mito denso di storia: si narra che il doge di Venezia stesse navigando in direzione di Rovigno, incalzato da una tempesta che lo rincorreva alla spalle. L’equipaggio fortunatamente notò gli scogli e riuscì a cambiare direzione, mettendo in salvo tutte le persone a bordo. Il doge fece voto di accendere un cero grande quanto la torre in segno di devozione a San Giovanni. Nella fretta di far ritorno a Venezia il sovrano non accese neppure una candela e in seguito una bufera lo circondò in mare aperto, uccidendolo assieme a tutti i suoi uomini.

Porer

Sull’estremità meridionale della penisola istriana s’innalza invece uno dei fari più suggestivi del territorio, quello di Porer, costruito su un’isola di pietre bianchissime, proprio come quelle del faro stesso che, quando illuminato dal sole, brilla per la sua lucentezza. Il complesso s’impone di fronte alla riserva naturale di Capo Promontore e, oltre alla florida natura incontaminata che lo circonda, dalle sue sponde si può godere di tramonti mozzafiato, soprattutto nei mesi autunnali. Inizialmente l’edificio fu realizzato in legno, ma in seguito a un incendio venne ricostruito in pietra; poteva ospitare i suoi 4 custodi assieme alle loro famiglie. Questi erano addetti ad accendere e spegnere il fuoco in cima alla lanterna, a curarne il funzionamento e a occuparsi della manutenzione.
Attorno allo scoglio si ramificano correnti marine molto forti, perché esso si trova in una posizione di confine dove confluiscono le acque del Golfo del Quarnero e quelle della zona marina di Pola. A causa della nebbia che, in determinati periodi dell’anno, avvolge l’area in cui è situato, vi è stata installata una sirena la quale con il suo suono avverte i naviganti del pericolo in caso di scarsa visibilità. Il suo fanale è situato a 31,5 metri di altezza ed è percepibile a una distanza di 25 miglia nautiche, delineandosi come uno dei fari più imponenti dell’Alto Adriatico.

Il versante orientale dell’Istria

Una delle costruzioni più significative erette invece sul versante orientale dell’Istria è sicuramente il faro di Punta Nera (Crna Punta), situato nelle vicinanze della cittadina di Arsia. Il modo migliore per raggiungerlo è con la barca, data la sua collocazione specifica in cima a una scogliera rocciosa a ridosso del mare. Lo stabile è meno imponente degli altri; la sua torre è alta 5 metri e l’illuminazione del fanale copre una distanza di 11 miglia nautiche. È stato però fabbricato in una posizione strategica per segnalare alle imbarcazioni la via in direzione di Fiume e del Quarnero.
Nei pressi sono stati scoperti dei misteriosi corridoi che hanno dato adito alla nascita di leggende legate a un’immensa fortuna nascosta nelle viscere della scogliera. La suggestione del luogo ha fatto sì che iniziassero a circolare storie che narravano di cercatori di tesori i quali avevano nascosto in questi tunnel sottomarini il loro bottino. I cunicoli segreti sono stati ritrovati, ma al loro interno non c’era alcuna traccia d’oro. Sono state invece portate alla luce delle tavole con incisi sopra simboli strani e incomprensibili.
Oggi i fari continuano a rappresentare dei punti fermi per la navigazione, anche se sono diventati automatizzati e la tecnologia corre in aiuto ai naviganti. È innegabile però che il fascino di questi edifici continui ad ammaliare avventurieri, poeti, artisti di tutto il mondo, che nel loro isolamento e nella loro quiete vedono il luogo ideale nel quale congiungersi con sé stessi o con la natura e magari ritrovare l’ispirazione perduta. Non a caso nel suo capolavoro “L’amore ai tempi del colera” Gabriel García Márquez scrisse: “In nessun altro luogo diverso dal faro (Fiorentino Ariza, nda.) aveva vissuto le ore più felici, né aveva trovato miglior consolazione alle sue infelicità. Fu il posto che amò di più”.

Nicole Mišon
Fonte: La Voce del Popolo – 14/04/2024