Un ricordo di Ottavio Missoni

Scritto da Giorgio Federico Siboni
venerdì 10 maggio 2013
Il 9 maggio è scomparso Tai Missoni. Giustamente si programma, a più livelli, di commemorare un grande italiano che ha illustrato il nostro Paese in molti campi, consegnando un’immagine dell’Italia fatta in eguale misura di estro e forte impegno umano. Questo che segue vuole però essere soprattutto un ricordo – ancorché molto personale – di chi condusse senza esitazioni la propria esistenza, come egli stesso scrisse di recente in una propria biografia, «sul filo di lana». Conobbi Ottavio Missoni nell’estate del 2000 alla Villa Erba di Cernobbio presso Como, in occasione di una sfilata di moda i cui fondi erano destinati a progetti di beneficenza. Durante il nostro breve approccio mi colpirono subito di lui l’estrema affabilità, scevra da compiacimento, e il tratto autenticamente signorile di chi sa di potere fare a meno di ogni ostentazione.
Con l’accrescersi della mia attenzione di studioso verso le vicende giuliano-dalmate si arricchirono le occasioni di rivedere Missoni, di ascoltarlo e di confrontarmi conversando con lui. Di queste differenti circostanze tengo a rammentare in particolare quando – trovandoci entrambi a Orvieto per la presentazione di alcuni volumi sull’Adriatico Orientale – Missoni mi parlò in modo incisivo e allo stesso tempo familiare del suo amore per la Dalmazia che aveva lasciato giovanissimo: «Ci sono voluti decenni prima che potessimo accettare ciò che accadde nel 1947: la perdita della nostra terra natale. Per lungo tempo avevamo sperato che avvenisse qualche miracolo. Accanto alla consapevolezza del giorno, la notte ci sono infatti pur sempre i sogni. Quando però fu siglato il Trattato di Osimo, nel 1975, ebbi la sensazione che se volevamo la normalizzazione era ugualmente necessaria la chiarezza sui confini definitivi. La mia Zara non esiste più: è stata cancellata. Ma se penso al mare, alle isole e ai promontori della Dalmazia, so per certo che essi sono ancora incomparabilmente belli come allora, quando era la mia terra. Forse è questo il più grande grado di amore: continuare ad amare senza più possedere».
Nato a Ragusa di Dalmazia nel 1921, Ottavio Missoni si trasferì a Zara con la famiglia dall’età di sei anni. Visse la guerra e la prigionia dopo la battaglia di El Alamein – «ospite di Sua Maestà», diceva lui. È stato esule come tanti suoi conterranei giuliani e dalmati. Disegnatore di talento, lo ricorderemo sempre anche come maturo sportivo europeo e olimpionico (1938, 1939 e 1948), vincitore nell’atletica leggera di sette titoli nazionali. Da imprenditore ha poi saputo coniugare creatività e rigore nella traccia di un colorismo che dopo oltre un secolo di moda è stato in grado di sdoganare le sfumature più briose di nuance nel segno dell’autentica eleganza: uno stile che da cinquant’anni è diventato nel mondo fiore all’occhiello del made in Italy. Una personalità articolata e suggestiva – quella di Ottavio Missoni – con la quale difficilmente sembra potersi oggi confrontare la nostra mentalità contemporanea, fermamente persuasa che, comunque, se talenti e vocazioni si incarnano in un unico essere umano, questi possa riuscire bene e con efficacia in un solo campo del sapere o dell’attività pratica.
Rividi l’ultima volta Missoni a San Marino per il XVII Incontro con la cultura dalmata – LVIII Raduno Nazionale dei Dalmati (2011). Ricevetti la medaglia d’argento «Niccolò Tommaseo» proprio nella stessa occasione in cui lui – che ne era stato a lungo illustre patrono – veniva insignito del «Premio Tommaseo». Nella mattinata ebbi anche occasione di fare colazione accanto a lui. Ricordo che appresso mi accalorai in un dibattito con alcuni vicini commensali. Fu proprio Tai Missoni, accompagnandosi con una strizzatina d’occhio al mio indirizzo, a venirmi in soccorso recidendo la discussione con la consueta arguzia e dicendomi poi: «Andèmo a farci una foto assieme!»
Pragmatico e distinto, Missoni rimase sempre innanzitutto un vero dalmato: forte nella volontà «di combattere, cercare, trovare e di non cedere mai».