Così il 10 giugno ’44 Trieste si svegliò sotto le bombe

Scritto da Pietro Spirito, «Il Piccolo», 15/06/14
domenica 15 giugno 2014

Com’ è stato recentemente ricordato in città con una serie di iniziative, il 10 giugno 1944, settant’anni fa, i bombardieri alleati del 47th e 55th Bomb Wing, e del 449th e 450th Bomb Group, scortati dai caccia, da una quota intorno ai cinquemila metri sganciarono 400 bombe dirompenti e incendiarie su Trieste provocando 463 vittime, 800 feriti ricoverati e 1.500 medicati, 101 case private e due edifici pubblici distrutti e oltre 4.000 sinistrati.

Le bombe ridussero in macerie la Chiesa della Madonna delle Grazie in via Rossetti, e danneggiarono seriamente la raffineria Aquila, lo Scalo Legnami, la zona di San Sabba, il Magazzino Sali Deposito Monopoli di Stato e lo stabilimento Omsa, per non parlare del cantiere San Marco, dell’Arsenale Triestino e di molti altri impianti industriali. La prima ondata si abbattà sulla città alle 9.20 di una splendida giornata di sole, la seconda alle 9.30. Quello del 10 giugno ’44 fu il bombardamento più devastante che colpì Trieste, ma non il primo. Come ricorda Maurizio Radacich nel libro “Sotto le bombe” (Ed. Club Alpinistico Triestino, pagg. 271, s.i.p., info www.cat.ts.it), presentato nei giorni scorsi in occasione della ricorrenza, la prima incursione aerea su Trieste avvenne la notte fra il 13 e il 14 giugno 1940, e provocò una vittima, la signora Maria Comel, che morì nella sua abitazione di Rozzol a causa non delle bombe, ma di un proiettile vagante della contraerea. L’allarme scattò poco dopo la mezzanotte.

Era stato segnalato un aereo nemico, uno solo, in sorvolo sulla città. Tutte le difese antiaeree iniziarono a sparare verso il cielo notturno, ma l’aereo, sempre che ci fosse davvero, non fu colpito. In compenso i proiettili vaganti della contraerea fecero parecchi danni in città: furono centrate per sbaglio almeno tre abitazioni private, oltre a quella della signora Comel anche la casa di Gioacchino Battistutta in via Settefontane 64 e l’appartamento di Romano Amodeo in via Roma 33. Come ricorda ancora Radacich nel suo libro ricco di illustrazioni (e che grazie al sostegno della IV Circoscrizione verrà donato alle biblioteche delle scuole medie e superiori di Trieste), da quella notte in poi seguirono, almeno per Trieste, tre anni di relativa calma. I bombardamenti – specie nella zona di Aquilinia e San Dorligo – ripresero cruenti nel gennaio del ’44, fino a quel 10 giugno che segnò l’inizio del periodo peggiore, con una recrudescenza di attacchi che si intensificò man mano che la guerra correva verso il suo epilogo.

Ma è la data del 10 giugno ’44 quella che si è impressa con più forza nella memoria collettiva, diventando il simbolo di una sofferenza che ormai, nella città occupata dai nazisti, non aveva più argini. Radacich è il curatore delle mostre allestite alla Kleine Berlin di Trieste, il ricovero antiaereo di via Fabio Severo diventato museo e gestito dal Club Alpinistico Triestino, e da anni scava in archivi pubblici e privati nell’intento di ricostruire nel dettaglio quel tragico capitolo di storia patria, in un più ampio progetto di storiografia sociale puntato alla vita della popolazione civile durante la guerra. In questo suo ultimo libro riporta la triste contabilità delle incursioni nella Venezia Giulia durante il conflitto, con Trieste capofila che registra 651 vittime, seguita da Monfalcone (87), Opicina (49), Muggia (28), Grado e Dolina (18). L’incursione del 10 giugno provocò in totale 463 vittime, quindici delle quali morirono perché, ricorda Radacich, in ossequio a un’abitudine invalsa nei triestini (sostare nei pressi dell’accesso al rifugio permetteva di andarsene prima degli altri non appena cessato l’allarme), erano all’entrata e non dentro l’ingresso della galleria dei Campi Elisi, centrata da una bomba. p_spirito