Italiani e sloveni, si ricomincia dalla parola

Scritto da Marco Bisiach, «Il Piccolo», 12/10/12
venerdì 12 ottobre 2012
GORIZIA – Parola che unisce, parola che divide. Parola come lingua, bene prezioso e diritto, preteso o tolto, a seconda dei punti di vista. Parola come testo, di un libro di storia o di un giornale, per diffondere un’idea, difenderla o conciliare. Parola come dialogo. Quel dialogo “possibile” tra popoli storicamente e geograficamente vicini, poi per un tempo lungo divisi, ed infine, oggi, autori di un lento ma propositivo percorso di riavvicinamento. È il dialogo di cui s’è parlato ieri pomeriggio a Gorizia, sede – forse unica e ideale, secondo lo storico Fulvio Salimbeni – del convegno “Minoranza slovena in Italia e italiana in Slovenia. Il dialogo possibile superando i rispettivi nazionalismi dell’800”, promosso dall’Anvgd in collaborazione con il nostro giornale ed il Primorski Dnevnik, assieme anche alla slovena Skgz.
C’erano il direttore de Il Piccolo Paolo Possamai, nella veste del moderatore, i rappresentanti di Anvgd, Skgz e Unione Italiana in Slovenia e Croazia Rodolfo Ziberna, Livio Semolic e Maurizio Tremul, soprattutto gli storici italiani e sloveni Fulvio Salimbeni, Roul Pupo, Marta Verginella e Kristjan Knez. Tema vasto e delicato, quello del rapporto tra le due comunità, quella di lingua italiana e quella di lingua slovena, che in questo lembo tormentato di terra a cavallo tra oriente ed occidente, hanno sempre vissuto pacificamente. Fino a scoprirsi, dopo la metà dell’Ottocento, improvvisamente incapaci della convivenza. Dire del perché e del come, in sintesi estrema e definitiva, è difficile quanto azzardato.
Eppure l’incontro sul filo della storia proposto ieri a Gorizia ha tracciato una strada, offerto un unico comune denominatore per la riflessione. La parola. Che è stata, con la lingua madre vietata alle genti dalla crescente aggressività dei nazionalismi e della politica tra Ottocento e Novecento, il motivo scatenante delle dispute e dei conflitti, degli esodi e delle tragedie. Elemento principe di divisione, in questo senso. Ma parola che è stata anche mezzo, come hanno intelligentemente suggerito nei loro interventi sia Verginella che Knez, di affermazione di un’idea nazionalista, quando gli storici schierati veicolavano una visione solamente parziale dei fatti e della realtà. O quando lo stesso facevano i giornali. Quegli stessi quotidiani che oggi invece provano a fondere le diversità, pur rispettando le identità. «Anche se – ha rimarcato non senza dispiacere Knez – notiamo ancora oggi ad esempio nel capodistriano come i mass media in lingua slovena snobbino regolarmente quanto fa e propone la comunità italiana. È solo un caso o c’è un qualcosa di programmato alle spalle?».
La chiave del dialogo, in territori plurali, è secondo Knez allora l’evitare la strumentalizzazione della parola, e «chiamare le cose sempre con il loro nome». Ma partendo da un passato forse non ancora abbastanza lontano, per capire le radici del conflitto, il convegno ha tentato soprattutto di delineare una prospettiva per il futuro. Una prospettiva di dialogo che passa ancora attraverso la parola: l’insegnamento della lingua slovena – sempre più diffuso anche per scelta delle famiglie italiane – che deve essere possibilità per tutti, secondo Livio Semolic. Ma anche i testi scolastici che, dicono Salimbeni e Pupo, oggi dovrebbero raccontare, specie nelle terre di confine, una storia condivisa e collettiva. Perchè la memoria è destinata a restare sempre affare personale.