«Fra nazione e impero. Trieste, gli Asburgo, la Mitteleuropa»

Scritto da «Il Piccolo», 16/10/09

Gli studi di Angelo Ara non servivano soltanto a mettere a fuoco il dissolversi dell’Impero austroungarico. Il ritorno dell’Italia nelle terre irredente. L’impronta indelebile della Mitteleuropa sull’Europa che è passata dalle due guerre mondiali a un sogno di unità, al crollo dei confini e alla moneta unica. No, i saggi che andava scrivendo riuscivano a mettere a fuoco un altro aspetto, con cui dobbiamo confrontarci oggi con drammatica urgenza: il problema dell’identità individuale e collettiva in un mondo lacerato dall’impatto della globalizzazione, dalle tensioni nazionalistiche e dalle pulsioni localistiche.

Rileggere adesso i suoi scritti può servire a illuminare il nostro tempo. A quasi tre anni dalla morte dello storico nato a Stresa nel 1942, che ha insegnato alla State University of New York di Buffalo, e nelle Università di Macerata, Parma, Pavia e Vienna, esce adesso un volumone intitolato Fra nazione e impero. Trieste, gli Asburgo, la Mitteleuropa. Lo pubblica Garzanti (pagg. 794, euro 35), con una prefazione di Claudio Magris. Che insieme a Ara ha scritto il fondamentale Trieste. Un’identità di frontiera.
Pubblichiamo un ampio stralcio del ricordo di Angelo Ara scritto da Claudio Magris come introduzione al volume Fra nazione e impero, per gentile concessione di Garzanti editore. Questo testo riprende e sviluppa un articolo apparso sul «Corriere della Sera» nel 2006.

di Claudio Magris

Uno degli ultimi interventi in pubblico di Angelo Ara l’ho letto io, perché le sue condizioni di salute gli rendevano difficile viaggiare; era una relazione a un convegno su Fiume tenutosi a Roma nel novembre del 2005. Non mi sembrava strano dare, in quel momento, a quelle sue pagine la mia voce, perché le sentivo affini e quasi mie, come tante altre volte nei tanti anni della nostra amicizia e collaborazione, fin da quel libro Trieste. Un’identità di frontiera (1982, 1987) che avevamo scritto e riscritto insieme, ognuno correggendo e rielaborando le pagine dell’altro, in una simbiosi che rendeva difficile e ancora oggi pressoché impossibile – e insensato – distinguere le due penne.

In quella relazione, uno degli ultimi lavori della sua esistenza, Angelo Ara continuava – con quella fedeltà ai propri temi, unita a una continua innovazione metodologica e a un continuo approfondimento, che è una continua evoluzione del suo pensiero e del suo giudizio – la sua vasta, variegata e unitaria ricerca in cui confluivano interessi storiografici, passione etico-politica e umanissima partecipazione personale, sempre contenuta dall’oggettività del giudizio e da quella riservata sobrietà che caratterizzava la sua persona, ma profondamente sentita e presente. In quel piccolo, breve intervento confluivano, nella precisa analisi di uno specifico e particolare argomento concreto, la sua grande ricerca della Mitteleuropa asburgica, che ha dato tanti grandi e definitivi contributi storiografici, l’interesse per il problema della o delle nazionalità e delle identità di frontiera (interesse in cui si intrecciavano indissolubilmente oggettiva ricerca scientifica e «buon combattimento» contro le lacerazioni nazionaliste, che così spesso hanno insanguinato e insanguinano i territori di frontiera) e la sua vicinanza personale a quel mondo delle frontiere orientali d’Italia, triestino e fiumano.

Quel mondo era contemporaneamente un tema centrale della sua ricerca e una realtà in cui egli era personalmente coinvolto, per le origini triestine della sua famiglia, che in passato aveva avuto un ruolo rilevante nella vita politica, patriottica, culturale ed economica triestina, specialmente nelle Assicurazioni Generali, e nell’irredentismo. Non è un caso che Angelo fosse così vicino a un grande protagonista e insieme studioso di quel mondo come Leo Valiani, nato a Fiume, sul quale ha scritto un memorabile saggio, che mette in risalto sia il grande storico dell’Austria asburgica e della sua dissoluzione sia il resistente antifascista che dal suo composito mondo plurinazionale e dall’esperienza delle lotte nazionaliste che lo avevano lacerato ha tratto il suo grande impegno di libertà e di umanità. Ne risalta il Valiani figlio di quella Fiume che forse, come Angelo Ara stesso ha ricordato, in certi momenti è stata quello che Trieste avrebbe voluto, potuto e dovuto essere (e ha proclamato forse anche troppo di essere) ossia un reale crogiolo di culture, di nazionalità, di lingue.

L’ultima relazione che Angelo Ara aveva potuto leggere personalmente era stata, a Vienna, quella sul trattato di stato austriaco, un suo grande tema. In quell’occasione, mi ha raccontato sua moglie Marcella, era stato ospitato, non senza turbamento, all’albergo Prinz Eugen: lo stesso in cui, poco tempo prima della sua nascita, avevano pernottato, durante il viaggio da Bucarest a Trieste, i suoi genitori e sua sorella, che aveva tre anni. «Lo stesso albergo prima di nascere e prima di morire», disse Angelo quella sera a Vienna, consapevole della sua situazione e della prossimità della fine, avvenuta il 2 maggio 2006.

Lo disse, pur scosso da quella coincidenza, con la pacatezza e la riservata, ironica signorilità che era nello stile della sua intelligenza di studioso e della sua personalità in generale, lo stile con il quale ha affrontato negli ultimi anni la malattia, la sofferenza e la morte, cui non ha permesso – certo pagando un alto prezzo per questo equilibrio – di alterare l’oggettività del suo sguardo sulle cose e del suo giudizio.
Angelo Ara è un notevolissimo storico, cui si devono studi fondanti sull’Austria, asburgica e postasburgica, la Mitteleuropa, le mescolanze e i conflitti di nazionalità, la problematica delle minoranze più diverse nei più diversi contesti politici e temporali, i rapporti fra stato nazionale e stato plurinazionale, Metternich, la Seconda Repubblica austriaca, l’Austria-Ungheria nella politica americana durante la prima guerra mondiale.

Ha affrontato, con la medesima acribia e con il medesimo grande respiro, grandi temi generali e temi specifici, anche apparentemente minori, ma nei quali ha saputo cogliere, con l’acume dello storico che coglie l’universale concreto nel particolare, problemi e tensioni di grande momento, atmosfere di un’epoca. Storico delle nazionalità, ha offerto contributi determinanti e definitivi su questo tema, soprattutto in relazione all’Austria asburgica, seguendone l’evoluzione da Metternich al Dualismo al tramonto, affrontando a fondo quel nodo centrale della storia europea e mondiale che è appunto il tramonto della monarchia asburgica e cogliendo quel processo di trasformazione dell’identità, nazionale e non solo nazionale.

L’interesse per l’Impero non ha certo impedito né bloccato quello, altrettanto forte e ricco di risultati storiografici, per la Repubblica austriaca, studiata nelle sue varie fasi, nella ricerca della sua identità, nell’austrofascismo e nell’Anschluss. Con grande intuizione, ha visto la fine dell’ecumene mitteleuropea e, in qualche modo, dello stesso Impero, non nel 1918, ma nel 1938. Giustamente Marina Cattaruzza lo ha definito il massimo specialista di storia austriaca.

Uno dei grandi contributi dati da Angelo Ara all’analisi dell’identità consiste proprio nel rifiuto di ogni concezione rigida e irrigidita, statica dell’identità, che in questi ultimi decenni, con lo scatenarsi della “fièvre identitaire”, ha costituito e continua a costituire uno degli aspetti più regressivi della politica e della cultura contemporanea. L’identità viene colta da Ara sempre in movimento; mirabile, sotto questo profilo, il suo studio della trasformazione dell’identità austriaca tra Impero e Repubblica. L’identità è soprattutto vista non come un compatto e immutabile monolito, ma come una realtà al plurale; ogni identità, nella sua rappresentazione, si rivela formata da numerose identità, a loro volta mutevoli nel tempo, come è mutevole il loro amalgama, il loro armonioso mescolarsi o il loro tragico lacerarsi, spesso all’interno di una stessa compagine politica, addirittura di una stessa comunità locale o nazionale; talora (specialmente nella letteratura, della quale Angelo, nei suoi pochi ma fulminei interventi in tale campo, è stato un acuto interprete) all’interno della stessa individualità, dello stesso individuo.

Allo studio e alla visione all’ingrande di questi problemi – analizzati a fondo specialmente nell’ambito della Mitteleuropa asburgica – si sono accompagnati, nella ricerca di Ara, studi su realtà specifiche anche minori; sulla dialettica delle minoranze, della loro repressione e anche della loro irrigidita fissazione identitaria, anche in casi meno conosciuti, come i queni, una piccola minoranza del Nord scandinavo. I contributi più rilevanti sono stati dedicati al rapporto fra italiani, austriaci (o austrotedeschi o tedeschi) e slavi, sia nella grande storia asburgica sia nella storia di quelle regioni orientali d’Italia, che per Angelo erano contemporaneamente un oggetto di studio e una patria, un luogo in cui sentirsi a casa nel mondo, battersi per la pace e l’armonia del quale significava insieme dare un chiarificatore contributo storiografico, contribuire al progresso politico e radicarsi o cercare di radicarsi in quel concreto luogo in cui, a ognuno di noi, si presenta, irripetibilmente diverso ma unitario nello spirito, il mondo.

Particolare rilievo assumono, in questo contesto, i suoi contributi sui rapporti fra italiani e sloveni nel Litorale austriaco e in generale nei compositi territori di frontiera; uno studio analitico e oggettivo che si unisce a una profonda passione, la quale risalta in alcuni indimenticabili ritratti dei pochi o pochissimi italiani e sloveni che hanno saputo avere il senso di una comune appartenenza a una terra sentita come patria comune. Penso ad alcune pagine memorabili su Slataper, su Falco Marin, su Pino Tomasic e su altri; penso ad alcune finissime analisi letterarie di opere di autori (per esempio, ma è solo uno fra numerosi, Stuparich).