Il Balkan di Trieste, tra strumentalizzazioni e giustificazionismi

Intervista di Emanuele Merlino, Presidente del Comitato 10 Febbraio, consulente storico anche per la Rai e scrittore, al Sen. Luca Ciriani, capogruppo al Senato della Repubblica di Fratelli d’Italia, eletto nel collegio del Friuli Venezia Giulia

  • Senatore Ciriani, circolano notizie sulla “restituzione” agli Sloveni dell’hotel Balkan, che a Trieste conteneva il Narodni Dom, la casa nazionale della cultura slovena, incendiata nel luglio di un secolo fa. È una decisione già definitiva, e, nel caso, decisa da che Istituzione?

Pare incredibile, ma una risposta ufficiale a questa domanda non c’è. La decisione sembra risalga all’epoca del Governo Renzi e del Ministro degli Esteri Alfano poi confermata dall’attuale Governo (non ci sono certezze, ma pare che per aver dato appoggio alla candidatura di Milano come sede dell’Agenzia Europea del Farmaco Alfano avesse barattato con la Slovenia la restituzione del Balkan). Le certezze oggi sono soltanto tre. La prima è che c’è un comunicato dell’ufficio del Presidente sloveno Borut Pahor, rispetto a una conferma di queste intenzioni dal Presidente Sergio Mattarella avvenuto nel corso di un incontro a margine delle cerimonie per la Giornata internazionale della memoria dell’Olocausto a Gerusalemme. La seconda è che mai il Parlamento ne ha discusso e mai al Parlamento è stato comunicato nulla. La terza è che questa vicenda costerebbe qualche decina di milioni di soldi pubblici italiani. Fratelli d’Italia è ovviamente contraria a questo gesto perché ci pare folle pensare che si riaprano ancora vicende storiche del periodo pre-bellico e che l’Italia debba ancora rispondere di supposti risarcimenti di guerra. E questo mentre non si è mai parlato di una restituzione delle case e dei beni degli esuli italiani in Istria e Dalmazia. Impensabile riaprire vicende di guerra a suon di milioni se non c’è reciprocità.

  • La Slovenia (e la “cultura” che si ispira al giustificazionismo) definisce l’incendio dell’Hotel Balkan del luglio 1920 come il primo atto di matrice fascista che innescò l’odio e le violenze tra il popolo italiano e quello slavo del XX secolo. Storicamente è tuttavia provato che i contrasti in Venezia Giulia e Dalmazia risalgono al secolo precedente, in conseguenza della politica anti-italiana del governo asburgico. L’attribuzione della responsabilità al fascismo non Le sembra un modo per ricercare il consenso unanime contro il “mostro” indifendibile?

Decisamente. Dimenticare, fra le tante cose che potrei citare, il Consiglio della Corona del 12 novembre 1866 con l’ordine dell’imperatore Francesco Giuseppe di agire «contro l’influenza degli elementi italiani ancora presenti in alcune regioni della Corona e, occupando opportunamente i posti degli impiegati pubblici, giudiziari, dei maestri come pure con l’influenza della stampa, si operi nel Tirolo del Sud, in Dalmazia e sul Litorale per la germanizzazione e la slavizzazione di detti territori a seconda delle circostanze, con energia e senza riguardo alcuno» penso possa, da solo, da una parte distruggere il mito di un impero in cui le etnie e le culture convivevano in pace e dall’altra raccontare come i contrasti fra i popoli sudditi di Vienna fossero già presenti e forti. Certamente la Prima guerra mondiale non ha contribuito a rasserenare gli animi.

Già con il Memorandum di Londra del 5 ottobre 1954 furono garantiti alla minoranza slovena, come “pacificazione”, vari luoghi a Trieste tra cui il Teatro Stabile Sloveno – Kulturni Dom -. E allora ridiscutere, oggi, la questione “riparazioni” è così inattuale, sbagliato e, mi permetto, assurdo che evidentemente è necessario ammantarla di un valore “antifascista” per renderla digeribile.

Come sempre la storia andrebbe vista nella sua interezza e correttamente senza essere strumentalizzata per altri fini, in questo caso evidentemente economici, rispetto alla giustizia storica e all’umana pietà che dobbiamo alle vicende che hanno devastato Trieste e le terre oggi dall’altra parte del confine. L’uso del termine “fascismo” per tacitare opposizioni e idee diverse è una scorrettezza nostalgica e figlia di un passato che dobbiamo, senza nulla togliere a crimini ed errori, superare.

  • La dittatura fascista non si era ancora instaurata, quel Francesco Giunta che guidava le proteste dei triestini per l’eccidio del giorno precedente a Spalato di due marinai della Regia nave Puglia divenne successivamente – è vero – un gerarca fascista, ma la manifestazione di protesta fu spontanea e conseguente allo sdegno dei dalmati di Trieste per quanto avvenuto nella città dalmata. L’evocazione dell’odio italiano nei confronti degli slavi non potrebbe essere un falso storico strumentalizzato da decenni, una vulgata menzognera sfruttata dagli sloveni per ottenere un risarcimento indebito?

Mi permetto di ribaltare la questione. La strumentalizzazione è tale se ha la forza d’imporre la propria distorta visione. Mi riferisco a tutto quel mondo di sinistra ed estrema sinistra italiana che coglie ogni occasione per costruire una “storia” in cui gli italiani sono colpevoli di tutto e quindi meritevoli di ogni persecuzione. «C’è stato il Balkan quindi come stupirsi delle vendette delle foibe nel 1943 e a guerra finita?». Voi conoscete perfettamente gli effetti di questo odio verso noi stessi e, seppure il comunismo internazionalista non esista più, i giustificazionisti e negazionismi della tragedia orientale, in prima fila anche in questo caso, sono le volontarie o meno quinte colonne degli interessi stranieri in Italia. E se troppi italiani la pensano così come facciamo a stupirci se gli sloveni fanno lo stesso o non ne approfittino?

  • Se detta “restituzione” deve essere un atto di fratellanza e pacificazione, perché nessuno oltre confine vuole scusarsi per gli Italiani morti in quei giorni (Tommaso Gulli, Aldo Rossi, Giovanni Nini, Luigi Casciana) vittime della violenza slava?

Il Balkan è diventato un simbolo. Il simbolo della presunta oppressione italiana verso gli slavi e su questo la Slovenia fa leva. Non conta più come siano davvero andate le cose e chi sia morto e per quale motivo. Il Balkan è un simbolo distorto di una storia, quindi, falsata e la politica slovena, aiutata dai già citati anti-italiani di casa nostra, gioca su questo. Ottenere un palazzo di grandissimo pregio come quello che attualmente ospita la Scuola per Interpreti e Traduttori è evidentemente una ricompensa che merita qualsiasi strumentalizzazione della storia. E poi diciamolo una volta per tutte: nessun Presidente di Slovenia e Croazia si è mai recato presso le Foibe in segno di rispetto. Manca totalmente il riconoscimento di questa tragedia italiana.

  • Se odio c’era, non Le pare che fosse unidirezionale, di slavi nei confronti di Italiani e non viceversa, preso atto che, oltre ai 4 Italiani assassinati, dalle finestre del Narodni Dom e perfino dal tetto dell’edificio furono lanciate bombe a mano, sparati colpi di fucile e di rivoltella? Non è significativo che il “centro di cultura sloveno” fosse una vera e propria santabarbara?

Forse i buoni, in una vicenda così complessa come quella del confine orientale italiano, non esistono. Tranne, ovviamente, le vittime. Ma, ripeto, vogliamo parlare di storia? E allora penso sia necessario studiarla meglio e completamente. I rapporti dell’epoca, redatti dai militari intervenuti sul posto, certificano una presenza di armi ed esplosivi decisamente incompatibile con una luogo di pace e cultura. Oltretutto il fascismo non era al Governo: la marcia su Roma sarebbe avvenuta soltanto due anni dopo e quindi pensare che Francesco Giunta e i fascisti potessero condizionare i militari così tanto da far redarre dei verbali falsi ritengo sia eccessivo.

  • A chi giovano le menzogne storiche quando si cerca la rappacificazione ed i rapporti di buon vicinato?

A nessuno ovviamente. Fino a un po’ di anni fa era ancora vera la frase di George Orwell «Se tutti i documenti raccontavano la stessa favola, ecco che la menzogna diventava un fatto storico, quindi vera». Oggi fortunatamente grazie a voi, e anche alla destra politica e patriottica che rappresento, questa favola e la congiura del silenzio sono state sconfitte. Sconfitte ma ancora capaci di produrre effetti nocivi che dobbiamo contrastare. Ogni occasione di confronto è positiva e non saremo noi a negarla. Però oggi la Slovenia, più che pretendere l’ex Balkan, dovrebbe riaprire il traffico delle nostre merci. Aver visto mettere le pietre al confine per impedire il passaggio dei tir italiani non è stato un gesto di “sicurezza sanitaria” ma uno schiaffo ai rapporti fra le nostre nazioni. Un qualcosa che, con tutto il rispetto e la volontà di pacificare i rapporti, non può passare in silenzio. Dovrebbe essere finita l’epoca in cui l’Italia poteva essere considerata come una nazione da poco e terra di conquista per chiunque.

  • Come dovrebbe comportarsi, in questa occasione, la diplomazia italiana? Come si stanno muovendo i Ministeri interessati? È stata fatta una interrogazione parlamentare sulla progettata “restituzione” del Balkan agli sloveni?

Ad oggi non abbiamo notizie in merito anche perché l’emergenza sanitaria ha bloccato il normale iter delle attività dei parlamentari e non è possibile fare ulteriori indagini.

Confermo quanto detto dai rappresentanti di FdI a Trieste: se il Balkan verrà regalato alla comunità slovena, ciò comporterà costi per milioni di euro che denunceremo alla Corte dei Conti.

Una nostra interrogazione parlamentare verrà presentata a breve ma questa singola azione non servirà se dalla società civile italiana non si alzerà un coro di indignazione e di protesta e per questa battaglia servirà l’aiuto di tutte le associazioni di riferimento degli esuli. Se la Slovenia rivuole il Narodni Dom, allora apriamo un tavolo permanente di confronto tra le tre nazioni coinvolte per discutere delle restituzioni dei beni degli esuli una volta per tutte.