Maraschino, dai Colli Euganei tutto il mondo in una ciliegia

La storica azienda di liquori fondata a Zara ha attraversato decenni di storia grazie all’impegno della famiglia Luxardo e del territorio. I suoi prodotti sono apprezzati ovunque

Tra le aziende più longeve al mondo, da oltre duecento anni è saldamente nelle mani della stessa famiglia italiana che la fondò nel 1821 a Zara, allora impero austroungarico, poi Italia, oggi Croazia. Eppure aveva tutti i requisiti per sparire dalla faccia della terra: distrutti nel 1944 gli storici stabilimenti sotto i 54 bombardamenti anglo americani che si accanirono contro la città adriatica e assassinati i proprietari, fucilati e gettati in mare dai partigiani di Tito, la ditta Luxardo, produttrice del celebre maraschino, sembrava dissolta come neve al sole…

«Invece oggi siamo un’azienda solidissima. Siamo membri dell’associazione Henokiens che raccoglie le 51 imprese al mondo che da almeno due secoli appartengano ai discendenti del fondatore, e oggi sono entrati in azienda i Luxardo più giovani, la settima generazione », spiega il presidente Piero Luxardo, che incontriamo a Torreglia, tra i Colli Euganei, dove le macerie umane e strutturali di Zara sono risorte come l’araba fenice. È qui che nel 1947, dopo fughe dolorose e rocambolesche, i sopravvissuti alla strage di famiglia approdarono, senza un soldo, senza quei clienti internazionali che dalla Zara asburgica alla Zara italiana avevano garantito il prestigio dell’industria, e soprattutto senza le marasche, le ciliegie asprigne che in Dalmazia rappresentavano da sempre ciò che oggi per Sorrento rappresentano i limoni…

«Eppure non si persero d’animo – continua Piero Luxardo, nato a Padova nel 1952 –: se mio nonno Pietro, il mio prozio Nicolò II e la prozia Bianca sparirono nel nulla, il loro fratello Giorgio si salvò perché quando arrivarono gli jugoslavi si trovava già a Bologna. Fu lui, insieme poi a mio padre Nicolò III, a ricominciare da zero». Sorride nel “numerare” i membri della saga dei Luxardo come fosse una casata regale, ma altrimenti è difficile orientarsi in una famiglia in cui molti da due secoli si chiamano Pietro e Nicolò, compresa la settima generazione, dove Gaia, 34 anni, ingegnere gestionale, è responsabile della produzione e degli acquisti, e suo fratello Nicolò (IV), 32 anni, laureato in Economia e Management, si occupa dei mercati esteri, settore che dopo la flessione legata al Covid ha ripreso con bilanci quasi raddoppiati. Nemmeno la guerra tra Russia e Ucraina ha influito sull’export, «sono prodotti che vanno all’élite», neppure la Brexit…

A parlare del “fenomeno Luxardo” sono i numeri: «Oggi abbiamo 60 dipendenti, siamo presenti in 92 Paesi, il fatturato dai 26 milioni di euro pre pandemia è balzato a 42 milioni, produciamo 7 milioni di bottiglie l’anno e qui sui Colli Euganei abbiamo 30mila piante di maraschi da cui trarre i due prodotti iconici richiesti in tutto il mondo: il maraschino e il cherry brandy, che D’Annunzio ribattezzò “Sangue morlacco” ». Se tengono testa alle multinazionali e alla crisi mondiale, assicura, i motivi sono due: « La famiglia è una squadra in cui ognuno dà il meglio che può, e abbiamo alle spalle l’audacia e il genio dei nostri nonni e zii. Se loro ce l’hanno fatta dopo una tragedia immane…». Audacia e genio, appunto. Giorgio, il fratello sopravvissuto alla strage, sfidò l’impossibile pur di risuscitare in terra d’esilio il sogno di Zara. Innanzitutto il dramma economico: non aveva più nulla se non il gran nome dei Luxardo, sufficiente alle banche per concedere un fido. Ma l’idea visionaria di Giorgio fu di distribuire gratis ai contadini di Torreglia centinaia di maraschi, convincendoli a coltivare le acidule ciliegie dietro garanzia che il raccolto sarebbe stato acquistato in toto. Un’operazione che non solo consentì di ricreare il prodotto più richiesto, ma cambiò pure il volto sociale ed economico dell’intera regione euganea.

Oggi a Torreglia il metodo di Giorgio funziona ancora, «solo che non regaliamo più venti piante al piccolo contadino, ma migliaia ai grandi appezzamenti». C’è persino un’operazione di “intelligence” dietro il recupero della pianta originale, trafugata in gran segreto da Zara e poi clonata scientificamente nel dipartimento universitario di Firenze che si occupa di coltivazioni arboree. Ancora più avventuroso il modo in cui il ricettario originale arrivò a Torreglia: lo aveva elaborato, dopo vari esperimenti, il fondatore Girolamo Luxardo nel 1821, approdato dalla Liguria nella Zara austroungarica come diplomatico del re di Sardegna, ma anche armatore col bernoccolo per gli affari. Conosciute le marasche e assaggiato il dolciastro rosolio che si beveva in Dalmazia, sottopose il liquore a quella distillazione che si era da poco diffusa con la rivoluzione industriale nel Nord Europa, soprattutto per la produzione del gin. Acquistò attrezzature industriali e vinse la scommessa: il nuovo distillato, non più rosso e zuccheroso ma trasparente e intenso, si guadagnò in esclusiva il “Privilegio” dell’Impero asburgico, ovvero il brevetto per tre lustri. Passati i quali ormai l’egemonia produttiva dei Luxardo si era assestata e gli altri produttori, ancorati al vecchio sistema, sparirono tutti. Poi nel 1944, prima di essere trucidato, Pietro affidò il prezioso ricettario a un dipendente, Carlo Bianchi, che lo nascose nel doppio fondo nell’unico mobile che gli era concesso portare con sé e approdò a Torreglia. « Il maraschino tornò ad esistere insieme alla mia nascita», sorride il presidente.

La famiglia navigava nei debiti, ma la crescita è stata inarrestabile: la IV generazione (quella di Giorgio e dei fratelli uccisi a Zara) negli anni ‘70 lasciava il posto alla V, oggi rappresentata in azienda solo da Franco Luxardo, l’ultimo dei nati a Zara, memoria appassionata del passato dalmata (per anni “Sindaco di Zara in Esilio”, rappresentante dei 24mila italiani scappati dalla città per sfuggire alle stragi comuniste). Poi dagli anni ’80 sono arrivati gli attuali 50enni della VI generazione, cui si aggiungono i due giovani imprenditori della VII. L’impennata si è avuta soprattutto nell’export verso gli Stati Uniti, primo mercato della Luxardo, seguiti da Italia, poi Inghilterra, Canada, Giappone… Una visita nello stabilimento e nelle cantine (il profumo di marasche fermentate impregna l’aria) è una gita tra i giganti: enormi gli alambicchi in rame e le botti, in costante movimento i nastri trasportatori. Migliaia di bottiglie vuote passano veloci a riempirsi di maraschino, sangue morlacco, grappa, limoncello, gin, amari, aperitivi, sambuca (la Luxardo è la più venduta al mondo), poi sono tappate, subito dopo etichettate, inscatolate, pronte per partire. Gli indirizzi incollati la dicono lunga: Florida, Russia, Usa, Singapore, Svezia, Estonia, Georgia, Germania, Filippine, Olanda, Cile, Cina, Portogallo, Kenya… Stesse destinazioni per le confetture e le marasche sciroppate da cocktail… Eccola la parola chiave di un successo che stupisce (nessuno oggi beve maraschino!), “cocktail”: «Sono liquori indispensabili all’industria dolciaria e nella preparazione dei cocktail, una moda nata negli Usa già dagli anni ’30, dopo il proibizionismo – spiega l’imprenditore – e dilagata in Europa negli ultimi decenni. Il mercato del maraschino non tradisce perché è insostituibile, soprattutto nei cocktail creati da Hemingway e codificati dalla International Bartenders Association».

Tradizione e innovazione: il segreto della Luxardo è in questa doppia velocità. Non a caso le bottiglie sono tuttora impagliate come nel 1821, quando i vuoti arrivavano a Zara da Murano e andavano riparati dal mare grosso. Così per i 200 anni dell’azienda a Torreglia è stato appena inaugurato un Museo suggestivo. L’andamento a spirale delle sale, le pareti volutamente sghembe e la proiezione “immersiva” dei video creano pathos e sconcerto. Vi si raccontano i giorni felici di Zara, la distruzione della città, i rastrellamenti titini, la disperata fuga in barca a remi, ma poi la rinascita e la cascata di petali bianchi che inneva i Colli Euganei. Passato e futuro, appunto, anche nel museo. « Noi giovani siamo arrivati nel periodo migliore, quando tutto era avviato – commenta Gaia –, la storia tragica è lontana, anche se aver partecipato come ingegnere alla progettazione del museo ha intensificato in me la consapevolezza delle radici. Ora però la nostra sfida, in un mondo in trasformazione, è raccogliere l’esperienza tramandata per approcciare nuove logiche: il trend è talmente positivo che dovremo pensare più in grande». « Mantenendo però il profilo basso che ci ha consentito di arrivare fin qua», specifica il fratello, Nicolò IV, «restando legati alle tradizioni, perché sono quelle che ci contraddistinguono sul mercato internazionale ». Gaia è mamma di due bambini e Nicolò è appena diventato papà. Ma questa è un’altra storia: è l’ottava generazione.

Lucia Bellaspiga
Fonte: Avvenire – 07/06/2023