«Troppi muri tra Est e Ovest. Il Papa può aiutare ad abbatterli»

Scritto da Roberta Giani, «Il Piccolo», 06/05/11
TRIESTE – Non tutti i muri sono caduti: pregiudizi, diffidenze, falsi miti e paure dividono ancora l’Europa dell’Ovest e quella dell’Est. Ma l’Europa tutta, quei muri, deve abbatterli velocemente e definitivamente perché si sta giocando la sopravvivenza culturale e spirituale. Padre Marko Ivan Rupnik, il gesuita che sta dedicando la vita, la fede e l’arte di mosaicista all’incontro con il cristianesimo dell’Est, non usa giri di parole. All’opposto, alla vigilia dell’arrivo del Papa ad Aquileia, culla in cui nacquero non solo le chiese del Nordest, ma anche quelle di Slovenia, Croazia, Austria e Baviera, va dritto al sodo: «La strada è ancora lunga. E io penso che le Chiese debbano aiutare l’Europa a percorrerla». Il Santo Padre, non c’è dubbio, benedirà il cammino. E, davanti ai vescovi e ai fedeli dell’Ovest e dell’Est, «farà una semina per una nuova vita dei cristiani» e «sottolineerà che le differenze sono una ricchezza». Padre Rupnik, a che punto sono i rapporti tra l’Europa dell’Est e dell’Ovest? Qualche passo avanti si è fatto. Ma siamo ancora molto lontani dal poter dire che europei dell’Est e dell’Ovest percepiscono l’Europa come un organismo unitario. Perché? Ci sono tantissimi complessi e pregiudizi. Da parte di chi?
Ci sono pregiudizi di superiorità da parte dell’Ovest cui l’Est risponde difendendosi e arroccandosi. Ci sono tante, troppe ignoranze che gettano un’ombra oscura sull’Europa: alla fine del XIX secolo, un intellettuale di Barcellona o Parigi sentiva come suo collega un intellettuale di Cracovia o Belgrado. Oggi non è così. C’è una lunga strada da fare e penso che, in questa strada, un ruolo debbano averlo le Chiese. Quale ruolo? Sono chiamate a realizzare un vero principio religioso: il riconoscimento dell’Altro che poi si traduce nell’atteggiamento con cui io riconosco gli altri. Che significa? L’Europa ha vissuto una prima fase in cui è giunta ad una sorta di globalizzazione religiosa. Poi ha attraversato una seconda fase in cui ha avvertito l’esigenza dell’affermazione dell’individualità ed è diventata conglomerato di molte realtà individuali. Ora deve vivere la terza fase che è quella della libera adesione all’altro e della libera unione: le nazioni europee si riconoscono a vicenda e liberamente arrivano allo scambio di doni. Lo crede davvero possibile? O l’Europa arriva a questa terza fase di coesione spirituale o rischia di essere ripopolata non solo fisiologicamente, ma soprattutto spiritualmente e culturalmente. Da chi? Dall’Islam? Non solo dall’Islam, ma da tutto, dal paganesimo come dalle nostre demenze. Ritiene che la Chiesa possa vincere paure, falsi miti e individualismo? Penso che oggi l’Europa veda una Chiesa al servizio del bene, del vero e del bello e inizi a perdere le ragioni che l’hanno portata ad avere paura della Chiesa. Spesso dico che, quando entri in Slovenia, vedi chiese belle e illuminate di notte sulla collina. Stanno sulla collina, come dico spesso, non per comandare ma in primo luogo per benedire, dare la vita, vivificare e insegnare con amore. Cos’altro va fatto per favorire la terza fase dell’Europa? Mi capita spesso di attraversare cinque o sei stati europei senza dover mai esibire un documento: una cosa stupenda. Questa Europa va vissuta.
E quindi, invece di brontolare per ciò che manca, usiamo al massimo ciò che già c’è. Cominciamo a viaggiare. A tessere le reti delle relazioni tra persone, gruppi, associazioni e comunità perché vita, amore e verità passano attraverso le relazioni e non attraverso le idee, i concetti e le regole che sono in funzione della vita. L’allargamento della Ue alla Croazia, alla Serbia e agli altri Balcani va perseguito in tempi rapidi? È sicuramente auspicabile. Ma c’è un ma: come sfruttare al massimo queste aperture. Un suggerimento? Ci sono tante ricchezze artistiche, letterarie, scientifiche. Ma, per fare coesione, servono persone che sentano questa missione. Domani il Papa arriva ad Aquileia. Che contributo può dare? Il Santo Padre insiste moltissimo sul principio della Fede e della vita del corpo di Cristo. A queste terre ciò può fare solo bene. In Basilica, ad Aquileia, saranno presenti i vescovi dell’Est. Che messaggio ci si deve aspettare? Già lo scenario, con la presenza dei vescovi sloveni, croati, carinziani, è uno scenario vero. E il Pontefice, non ho dubbi, incoraggerà e farà una semina per una vita nuova dei cristiani: la vita del corpo di Cristo in cui le differenze sottolineano l’enorme armonia che, senza quelle differenze, è monotonia. Dalla caduta dei confini al concerto dell’amicizia. Trieste, che lei conosce bene, ha superato le ferite del passato? Qualche passo estremamente significativo si è fatto. Ma non è il momento di addormentarsi. La guarigione dalla memoria non è facile. Le relazioni affondano nel Dio trino e non sono curabili o gestibili solo con le nostre tecniche. Ci vuole anche qualcuno che perdona. E questo non si può né teorizzare né forzare.
La Chiesa ortodossa, nel Nordest, ha una presenza storica e forte. Come sono i rapporti? Moltissime cose sono cambiate nei rapporti tra cattolici e ortodossi ma non bisogna aspettarsi un miracolo, né pensare che l’incontro tra il Papa e qualche patriarca risolva tutto. Vanno favoriti gli incontri tra la base della Chiesa: questa è la priorità. Il meeting di Assisi, che arriva venticinque anni dopo quello interreligioso per la pace convocato dal beato Karol Wojtyla, è utile e opportuno? Certo. Tutto quello che può aiutare a ricomporre il mantello di Cristo va intrapreso. C’è chi ha criticato “da destra” Benedetto XVI per il meeting e per lo slancio ecumenico. L’ecumenismo è la via della Chiesa: l’ha detto beato Giovanni Paolo II. Come si fa a non essere ecumenici e professare Cristo? Solo Dio può giudicare l’altro. E poi dobbiamo dare risposta al capitolo 17 di Giovanni: il mondo vi riconoscerà come miei discepoli se sarete uno.